ANNO 2003
[Sommario]
Il tempo è galantuomo
di Livio Ferrari
“Il tempo è galantuomo” è una frase che ho sentito spesso ripetere durante l’infanzia, oggi forse non si usa più anche perchè coloro che conoscevo e la pronunciavano hanno lasciato questo mondo e insieme si sono portati una fetta di cultura che passava attraverso i cosiddetti proverbi dei vecchi. La frase in questione si addice molto bene nel pensiero e riflessione relativi al fatto che la nostra associazione è entrata nel suo quindicesimo anno di vita e più ci si gira indietro a rivedere quanto è stato e maggiore è lo sbigottimento per tutto quello che si è riusciti ad alimentare in tre lustri. Sia a livello locale, come regionale, che nazionale. Un dispiego di energie, progettualità e iniziative che guardarle a posteriori ti fanno proprio dire che “il tempo è galantuomo”.
L’anno 2002 appena trascorso è stato pure contrassegnato da attività ed interventi attraverso i quali ancora di più si è evidenziato come il Centro Francescano di Ascolto abbia spostato il proprio baricentro verso i servizi relativi alla giustizia in generale e al carcere, diritti e legalità in particolare.
Purtroppo continuano ad essere troppi i luoghi di emarginazione e infinitamente tante le persone che ogni giorno vedono calpestati i propri elementari diritti: alla vita, alla salute, all’istruzione, al lavoro, all’affettività, etc. Tutta l’economia si piega a logiche che aumentano ogni giorno di più il divario tra chi sta bene e chi sta male. Il dramma di tante donne, uomini e ragazzi si incrocia perciò con le nostre semplici e piccole storie di volontari. Dietro le sbarre del carcere cittadino o nei vicoli e nei portici di una Rovigo che fa della nebbia il suo simbolo, nell’attutire ogni problema sociale e disperderne i rumori, facendo finta non ci fossero.
Ed invece drammaticamente e sempre più forti si stanno imponendo realtà di emarginazione e sfruttamento che sino a qualche anno addietro ci sfioravano appena. Lo spaccio di droga e la prostituzione sono mercati che nel capoluogo polesano sono in continua espansione e, a parte qualche piccolo incidente di percorso che trova posto nelle sdrucite cronache quotidiane della carta stampata, questi commerci filano lisci in pieno centro tra generi alimentari e abiti in sconto. Il nostro particolare osservatorio ci segnala tanti altri “guasti” che si stanno producendo in un tessuto sociale messo sempre più a dura prova dalla mancanza di valori e da una mercificazione della vita, con il denaro ad essere l’unico vero arbitro dei rapporti padri e figli, mestieri e braccia umane, tempo libero e divertimento.
C’è anche da considerare un aumento considerevole di presenza straniera, nonostante l’altrettanto costante uso dell’espulsione che viene attuato dalle forze dell’ordine, soprattutto per chi esce da via Verdi ed è clandestino. Il ricordo mi va a Ines, una ragazza colombiana, che dopo qualche anno nel carcere cittadino, diversi permessi premio usufruiti, un corso di formazione al lavoro in atto e tutta una importante e faticosa riappropriazione del proprio vissuto, fatto di sfruttamento e violenza, nonostante il suo raccontarsi per essere aiutata a non rivedersi rimandata nella propria terra, dove l’attende il ritorno alla precedente situazione, di notte è stata fatta salire in fretta su un cellulare e portata all’aeroporto e rimpatriata.
Tutte queste vite a scomparsa che incontriamo nel nostro varcare la soglia di quel muro, che si staglia accanto al tribunale e che si vuole togliere dagli occhi della gente per farne uno più grande e distante, sono una faccia della medaglia della nostra società che non sa perdonare. Che parla di solidarietà ma alimenta la xenofobia e il razzismo, con leggi che consentono la presenza per necessità di bottega ma che creano le condizioni per una integrazione fasulla e fittizia.
Percorrere le strade del servizio volontario oggi significa incontrare tante forme di emarginazione che sono il frutto dell’ingiustizia che è sancita anche dal diritto, quello scritto negli ordinamenti e nei regolamenti della nostra civiltà. Ecco che di fronte a questi soprusi, che in tanti casi si trasformano in violenze e delitti, il nostro spirito di carità non può più essere sufficiente e bastare. Ecco che il volontario dalle mani nude si trasforma in un’agenzia di denuncia sociale, e diventa veramente presenza profetica, come si diceva qualche anno fa voce di chi non ha voce.
Gli ultimi volontari che si sono inseriti nei servizi di questa associazione hanno scoperto una situazione e una realtà sociale che per loro era impensabile. Pur nella nostra dimensione di minori o piccoli, in sintonia con la radice francescana che segna il nostro impegno e l’attenzione al povero, siamo persone inserite nella palestra della vita. Ed è una esperienza alle volte di solitudine, perchè è abissale la distanza con chi vive nella normalità.
Ma anche da questa esperienza ha origine la progettualità del Centro, quale quella di organizzare momenti pubblici di confronto e proposizione. Per coinvolgere, a qualsiasi titolo, tutti coloro che intendano saperne di più su certe angolature, sfaccettature e tematiche che la quotidianità pone all’attenzione, e rispetto alle quali non è automatico avere una vera comprensione e un atteggiamento conseguente.
Ecco, tra l’altro, un motivo che ci ha spinto ad organizzare, per l’anno in corso, una serie di incontri seminariali. Per capire con quali risorse ed energie affrontare problematiche quali: la bassa offerta o mancanza di opportunità lavorative che diventano veicoli di emarginazione; le abitudini della popolazione giovanile e il consumo di droghe con i riti e le conseguenze nefaste; la tratta di giovani che provengono dall’Africa e dall’Europa dell’Est e vengono sbattute su strade di violenza e prostituzione; il senso del tempo e la cattiva e frustante psicosi del suo trascorrere; etc.
Allora possiamo affermare che il tempo è veramente galantuomo per il Centro Francescano di Ascolto, perchè oggi come nel 1988, nell’interscambio di volti ed atteggiamenti, nel modificarsi di costumi e culture, il senso della nostra presenza continua ad avere le stesse connotazioni ed obiettivi. Sempre dalla parte degli ultimi sull’esempio di san Francesco d’Assisi e in nome del Signore.
[Sommario]
Nel 2002, sulle strade della solidarietà
1. Belluno – Centro
di Servizio per il Volontariato – Seminario “Volontariato in
carcere: impegno responsabile” - 2. Trento – ATAS
– Convegno “Dignità come priorità – Riflessioni
su percorsi di legalità e detenzione straniera” - 3.
Cagliari – Sardegna Solidale – Seminario nazionale
“Volontariato e impegno per la legalità e la giustizia” - 4.
Iglesias (CA) – Sardegna solidale – Convegno “Occhi
aperti per costruire la giustizia” - 5. Lamezia
Terme – SEAC regionale Calabria – Incontro di formazione
“Il volontariato della giustizia” - 6. Padova –
Liceo Scienze Sociali – Corso formazione “Biografie dietro le
sbarre…il carcere tra pena e promozione” - 7. Gorizia
– Comunità Arcobaleno – Corso formazione “Pene
alternative, alternative alle pene: la giustizia riparativa”
- 8. Padova – Centro di Documentazione Due Palazzi –
Giornata di studi “Carcere: salviamo gli affetti” - 9. Firenze
– Istituto Poggio Imperiale – Seminario “Oltre il muro
dell’indifferenza che fa del carcere una realtà invisibile”
- 10. Ancona – Caritas Diocesana
– Convegno “Recluso…escluso” - 11. Zugliano (UD) – Associazione Icaro
– Convegno “Dal carcere al reinserimento sociale: quali percorsi
possibili?” - 12. Roma – Istituto Superiore di Studi
Penitenziari – Tavola rotonda “La nuova organizzazione del DAP, tra
riforma della pubblica amministrazione e mandato istituzionale” - 13.
Roma – Comune di Roma – Convegno internazionale
“Contesti migratori, diritti umani e prigioni nell’Europa allargata
del terzo millennio” - 14. Portoferraio
(LI) – Caritas Diocesana – Tavola
rotonda “Il lavoro nella detenzione: dignità personale e pace
sociale” - 15. San Felice del Benaco
(BS) – Seac – XXIV seminario di studi
“Un’unica città” - 16. Roma – Seac – 35° Convegno nazionale “Giustizia e
società: volontariato oggi” - 17. Torino –
Gruppo Abele – Incontro “Ripartire dal carcere” - 18. Treviso
– Associazione Per Ricominciare – Corso formazione
“L’opera del volontariato” - 19. Padova –
Fondazione Lanza – Convegno “Verso una
carta etica per il carcere. Temi e domande” - 20. Vicenza
– Caritas Diocesana – Corso di formazione
“Il volontariato penitenziario” - 21. Reggio Calabria
– Centro di Servizio Sociale per Adulti – Seminario “La
collaborazione del volontariato e della cooperazione nell’esecuzione
penale esterna” - 22. Napoli – Associazione Il Pioppo
– Incontro “Il volontariato nella giustizia” - 23. Cerignola (FG) – Confraternita San
Leonardo Abate – Convegno regionale “Volontariato e giustizia
sociale” - 24. Rovigo – Centro Francescano di Ascolto
– Corso per insegnanti “Progetto Papillon” - 25.
Rovigo – Coordinamento Volontari Carcere – Tavola rotonda
“Il volontariato sui percorsi della giustizia” - 26. Modena
– Centro Servizi Volontariato – Seminario “Occhio per
occhio rende il mondo cieco – Strumenti e soggetti per una giustizia senza
vendetta” - 27. Parma – Caritas
Parmense – Corso di formazione “Il volontariato carcerario” -
28. Venezia – Sportello Giustizia – Convegno
regionale “Dietro le sbarre e dietro la lavagna…quando i percorsi
scolastici incontrano la devianza” - 29. Cagliari –
Associazione Solidarietà Universitaria – Incontro-dibattito
“Volontariato, che senso ha?” - 30. Serdiana
(CA) – Comunità
[Sommario]
Ma chi te lo fa fare?
di Claudio Zennaro
Sono passati ormai
quattro anni da quando misi piede per la prima volta nel carcere di Rovigo come
volontario. “Ero in carcere e sei venuto a visitarmi”. E’
questa esortazione di nostro Signore che mi ha spinto a fare questo passo e a
dare del mio tempo per quel Cristo sofferente.
“Ma chi telo fa
fare?” - “Io non ce la farei a dare una mano a quelli
lì”. Erano queste le considerazioni della gente che mi conosceva
quando hanno saputo che avevo deciso di impegnarmi in questo servizio di volontariato,
e tra queste anche persone della comunità cristiana.
Una comunità
cristiana che non ha un pensiero unitario sulla pena e sul carcere,
sull’immigrazione e sulle disuguaglianze. A volte, purtroppo, prevale il
non pensiero, non c’è una riflessione su queste tematiche fatta in
misura sufficiente e il tutto viene affrontato con estrema
superficialità.
Non essendoci una
elaborazione propria, il pensiero di tanti credenti coincide in genere con la
mentalità comune. Quella di chi pensa che l’unica realtà
venga elargita attraverso i telegiornali, nel salotto di Bruno Vespa o sulle
pagine dei quotidiani.
Cosa si sa delle carceri e
di quello che si vive all’interno? Si sa, più o meno, da chi sono
abitate e chi vi opera, eppure questa parola - carcere - ci coglie sempre di
sorpresa. Forse non si può sostenere che si tratti di una dimensione
completamente sconosciuta, ma di certo è accantonata.
Le mure
degli istituti poste nel cuore di tante città, compresa la nostra,
sembrano stadi a cingere il vuoto. E invece al di là vive un intero
universo, il vuoto probabilmente è al di fuori, nell’indifferenza.
Ci vogliono ragioni eclatanti perchè i riflettori si puntino sulle
carceri. E’ successo nel periodo di tangentopoli con l’arresto di
imputati eccellenti, se ne parla in questo tempo per l’invito che il Papa
ha rivolto ai parlamentari italiani perchè venga dato un segnale di
clemenza.
Questa attenzione
intermittente dei mass-media e società tutta a cosa porta? Muta
qualcosa? L’informazione usa e getta non produce risultati concreti; ad
un impatto emotivo deve seguirne un altro ed il carcere, come altre tragiche
realtà, è presto dimenticato.
C’è anche chi
cerca di non dimenticare coloro che vivono lì dentro. Di fronte ad una
società non pensante, ve n’è però una parte che si
sforza di capire e cerca alacremente di trovare soluzioni alle disuguaglianza
esistenti.
Per noi credenti
l’oggetto del nostro agire è sviluppare il bene nel cuore
dell’uomo e, allo stesso tempo, liberarsi dal male che è la
massima delle povertà. La conversione del cuore non può essere
imposta, ma solo vissuta in prima persona e poi trasformata in amore verso gli
altri. Si tratta, allora, di convertirci ogni volta, perchè il rischio
che corriamo è il desiderio di raggiungere un risultato concreto, di
riuscire a cambiare l’altro, di convertirlo ai nostri valori.
Fondamentale per noi
è scoprire Cristo in tutti gli uomini, indipendentemente dalle
virtù o dalle deviazioni morali e sociali in cui sono caduti. Non
dobbiamo giudicare ma amare il fratello, condividere la sua vita, ma anche
aiutarlo ad intraprendere un cammino diverso da quello che lo ha portato a
violare la legge.
E’
questo tipo di amore a fondo perduto che spesso fa nascere dei rapporti veri e
profondi; perchè l’altro sente che non c’è nessun
secondo fine, neppure nobile, ma si è lì solo per amare.
[Sommario]
Un anno, al femminile
di Michela Sasso
E’
trascorso un anno dalla prima volta che sono entrata in carcere, era il 14
gennaio, lo ricordo bene, come potrei scordare quanto ero agitata, come mi
batteva forte il cuore, l’impazienza e la curiosità di vedere e
conoscere questa realtà che mi sembrava così lontana, così
diversa dalla mia.
Entro
nella sezione femminile il giovedì pomeriggio e sono Michela “del
giornalino”, con alcune ragazze detenute infatti ci ritroviamo per
preparare gli articoli che poi verranno pubblicati nel giornalino del
carcere,”Prospettive Esse”, dove “Esse” sta per
speranza; con le ragazze scriviamo, discutiamo e commentiamo ciò che di
nuovo è accaduto fuori e dentro il carcere. A seconda dei periodi ci
ritroviamo più o meno numerose, ora siamo in tante, quasi una decina,
non era mai accaduto ed è molto importante perchè segno che si ha
voglia di ritrovarsi, anche se non è poi tanto l’iniziativa del
giornalino a suscitare interesse, quanto il fatto di stare insieme, di riunirci
quasi dimenticando dove siamo, come si ritrovano un gruppo di amiche per
parlare e scherzare.
Forse
questo mio pensiero è un pochino azzardato, non si può dire che
ci si dimentica di essere in un carcere...certo insieme ridiamo e scherziamo ma
la sofferenza, la rabbia, la rassegnazione, la paura, la preoccupazione e la
nostalgia emergono in ogni discorso fatto, in ogni storia raccontata. Le ore
“del giornalino” diventano momento di sfogo, di riflessione, di
evasione...Ogni volta che entro nella saletta e incontro le ragazze mi sembra
di sentirle più libere...almeno in quelle due ore, ho come
l’impressione che aspettino con impazienza di stare insieme. Arrivano
sorridendo, mi abbracciano e soprattutto mi chiedono come sto, mi riempiono di
domande, riescono sempre ad anticiparmi, vorrei essere la prima a chiedere come
stanno... Ho ricevuto tanto da ogni persona incontrata in questi mesi, anche le
più “chiuse”, ciò mi riempie di gioia ma nello stesso
tempo mi fa sentire così impotente... Stiamo bene in quelle due ore, il
tempo vola e non ce ne accorgiamo, ma sono solo un piccolo ritaglio di tempo,
tutto il resto è ozio, a parte qualche corso o incontro con volontari,
le giornate trascorrono inutilmente. Le carceri dovrebbero essere luogo di
rieducazione, di attività, dove chi ha sbagliato possa espiare la sua
pena rendendosi utile, invece e nonostante tanto vociferare
sull’argomento, sono un luogo di punizione, di segregazione e basta...
Quando sono con le ragazze il giovedì mi sento tra amiche, è
giusto? Semplicemente immagino un realtà diversa, ci credo e continuo a
sperare, ognuno di noi può sbagliare. Le scelte che facciamo nascono dalla
ragione ma a volte anche dalla necessità, dalla mancanza di alternative,
per amore o per odio c’è sempre qualcosa che ci spinge a
comportarci in un certo modo e allora perchè continuare a condannare
senza voler capire... Rispettandoci rendiamo omaggio alla vita, in tutto
ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso.
[Sommario]
La cultura e i valori
di Davide Belluco
La
nostra associazione opera dal
Per
l’anno 2003 il CFA organizza un ciclo di otto incontri culturali, i quali
partendo dal disagio vogliono arrivare al piacere. I termini, che possono
sembrare equivoci, ma non sono per niente provocatori perchè utilizzati
nella loro accezione etimologica. Il filo conduttore è “La
società tra disagio e piacere”, ma disagio dove e come, piacere
dove e come. Gli spunti argomentativi sono numerosi ed ampi sia
nell’ambito del disagio che in quello del piacere, vi è quindi la
necessità di scegliere riducendo la vastità ad un’area circoscritta
che dia senso e relazionalità agli otto
incontri che proponiamo. L’obiettivo è quello di disegnare una
linea vettoriale che conduca i fruitori da una visione reale del disagio ad una
visione sperabile, ma questo dipende, in primo luogo, da ognuno di noi, del
piacere.
“Sentirsi
a disagio”. Il primo chiarimento necessario riguarda il termine
“disagio” inteso come “non agio” sia nella sua
dimensione materiale sia nella sua dimensione spirituale. Il “non
agio” come condizione individuale e non relazionale, ovvero come
condizione della persona decontestualizzata dai
condizionamenti degli altri, la famiglia e i gruppi primari, o
dell’altro, la società.
“Trovare
piacere”. Il secondo chiarimento riguarda il termine
“piacere” inteso come il riuscire gradito all’altro da
sé. Il piacere ha come condizione operativa la dimensione del servire.
Come si può riuscire gradito all’altro da sé, come si
può piacere se non c’è il servire? Il servire ha come
dimensione apologetica la relazione madre-figlio. La madre che serve il figlio
trova il piacere. Recuperare la dimensione del piacere nella società e
quindi nel lavoro, nella famiglia, nella scuola vuol dire ripristinare la
dimensione del servire e quindi del servizio. Ogni madre: capoufficio,
direttore, insegnante, amministratore potrà recuperare la dimensione del
piacere solo se riuscirà a ripristinare la dimensione del servire.
[Sommario]
Un servizio d’accoglienza quotidiano
di Fabio Furini
Un altro anno del servizio di ascolto, visto e
consumato attraverso la posizione privilegiata della segreteria, è
trascorso nel segno dell’accoglienza e dell’informazione.
Nel 2002 si è continuato a recepire i bisogni
ed accompagnare le persone che bussando alla nostra porta chiedevano aiuto
manifestando in modo più o meno chiaro il loro disagio e le loro
difficoltà.
La presenza continua in sede di una quindicina di
volontari ha permesso di coprire i turni di servizio per tutti i giorni della
settimana, escluse le eccezioni, assicurando una presenza viva ed attiva capace
di rispondere alle richieste e di mantenere e perseguire il lavoro espresso nei
progetti attuati dall’associazione.
L’attività in sede
Le numerose richieste di informazioni accanto alla
promozione di iniziative e progetti di aiuto hanno permesso di consolidare ed
estendere la rete di rapporti e collaborazioni con gli enti pubblici, Comune di
Rovigo, aziende ULSS 18 e 19, Centri di Servizio per il Volontariato,
associazioni di volontariato e cooperative sociali e con i cittadini.
Si è anche consolidata la progettualità
esistente resa più efficace dalla promozione di iniziative dirette ad
allargare il movimento delle persone che si avvicinano al mondo del
volontariato (corsi di formazione) che assicurano al Centro una maggior
capacità di attività in risposta ai problemi del disagio offrendo
così servizi più qualitativi e puntuali.
Nella tabella della pagina successiva si evidenzia
questo aumento di rapporti di rete che hanno permesso all’associazione di
essere un importante punto di riferimento nel territorio in ambito sociale.
Il lavoro di segreteria permette ogni giorno di
mantenere i contatti con le varie realtà che operano e collaborano con
l’associazione, di offrire informazioni utili a chi cerca aiuto o
riferimenti adeguati alla propria richiesta e di informare e collegare tra loro
le attività e i servizi dei volontari.
Parallelamente c’è il disbrigo di
pratiche amministrative (lettura e protocollo posta, telefonate, risposta alla
corrispondenza, informazioni) senza le quali i volontari sarebbero privi di
quelle informazioni e conoscenze necessarie per rispondere alle esigenze e
necessità degli utenti e dei loro familiari.
La segreteria assicura anche il passaggio puntuale e
preciso delle richieste di colloquio, delle attività promosse dal
Centro, delle informazioni che pervengono da altri enti, delle adesioni ad
iniziative (convegni, forum, incontri) promosse da altre associazioni e da enti
pubblici e privati.
Infine, in questi anni, si è consolidata la
collaborazione con il Laboratorio Studi che permette non solo una maggiore
copertura dei turni di servizio, ma anche di condividere le reciproche
attività scambiandosi idee ed informazioni riguardanti i progetti
promossi dall’associazione.
Accoglienza e ascolto
Nel 2002 i contatti con l’utenza si sono
concentrati maggiormente nei mesi invernali ed autunnali. Rispetto
all’anno 2001 si nota un discreto incremento dei contatti ed incontri con
le persone dalle richieste ed esigenze più varie.
Sono in aumento le problematiche che riguardano la
detenzione. Qui la domanda d’aiuto si è concentrata nelle
richieste di ascolto, sostegno e successivamente di possibilità di
lavoro e di avere una casa.
Lo sviluppo e il sostegno dei progetti
d’inserimento lavorativo di detenuti “Il Carcere della
città” e dello Sportello Giustizia, il consolidarsi
dell’impegno dei volontari nella Casa Circondariale di Rovigo, trovano
nel servizio Ascolto un ambito informativo e di mantenimento dei contatti con
gli enti partecipanti all’esperienza.
Rimane accentuato il disagio familiare che si coglie
nei vari bisogni legati alla richiesta di aiuto psicologico (solitudine) e di
necessità economica, specie nelle situazioni di emarginazione delle
persone straniere. Il loro passaggio è raddoppiato anche in assenza di
progetti di aiuto e sostegno specifici per i loro principali problemi: la casa
e il lavoro. Il Centro ha fornito loro per lo più informazioni e
riferimenti per una integrazione sociale nel territorio.
In calo invece sono state, rispetto agli anni
precedenti, le richieste di aiuto legate alle problematiche delle dipendenze e
al sostegno dei malati di Aids.
Un dato molto interessante è l’aumento di
richieste per fare volontariato nell’Associazione. Nel 2002 si sono incrementate
anche grazie al corso di formazione dell’autunno e alle varie iniziative
di informazione e sensibilizzazione svolte in ambito scolastico e pubblico che
hanno ulteriormente fatto conoscere la nostra presenza.
Il futuro: i volontari
Gli interventi posti in atto in questi ultimi anni
hanno cercato d’integrarsi con le esigenze del nostro territorio per dare
risposte puntuali alle varie richieste d’aiuto.
Si è ulteriormente rafforzato il sistema dei
rapporti di rete tra il Centro e le varie realtà sociali del nostro
territorio e ciò domanda di continuare in futuro ad ottimizzarli
attraverso nuove progettualità tra pubblico e
privato sociale.
Mantenere i progetti esistenti con l’innesto di
nuovi volontari deve permettere di impiegare in modo ottimale tutte le risorse
umane ed esperienziali accumulate in questi 15 anni
di servizio nel territorio. Sono proprio loro l’esigenza e il futuro vero
dell’associazione, coloro che anche nei servizi più nascosti
permettono agli altri di servire il prossimo e i suoi bisogni.
[Sommario]
Cosa ho fatto per loro?
di Christian Malanchin
Come ogni lunedì pomeriggio dopo
aver salutato i detenuti, esco dalla cella ove ci si riunisce solitamente per discutere
del giornalino e per quei lunghi corridoi mi affiora una domanda: “Cosa
ho fatto oggi per loro?”. Scendo rapidamente le scale che mi portano
all’uscita della sezione maschile, preso tra la fretta di vedermi
restituita quella libertà che, per un istante mi sento quasi di aver
perduto pure io e l’amarezza di dover lasciare quelle persone amiche e mi
si impone di nuovo, ma con più forza, la medesima domanda: “ma
cosa ho fatto per loro?”.
Superato quel percorso disseminato di
porte sbarrate che pare quasi stare lì a simboleggiare la triste agonia
dei divieti e dei limiti della vita carceraria, mi trovo finalmente fuori
dell’istituto: con un rapido sguardo d’insieme su ciò che mi
circonda, mi accorgo di essere ritornato in un mondo totalmente diverso da
quello appena lasciato, dove anche il cielo sembra differente, l’aria
più leggera e i rumori della città e della gente lungo la strada
mi immergono in un clima di normale serenità, perché anche quei
fastidi che a volte logorano o complicano la vita quotidiana di ognuno appaiono immensamente piccoli, se non
addirittura insignificanti di fronte alla perdita della libertà.
Ma, mano a mano che procedo lungo la via
del ritorno a casa, un martello mi continua ad assillare: “Cosa ho fatto
e cosa avrei potuto fare per loro?”. E quando tento di darmi una riposta
mi sale nel cuore l’angoscia di dover registrare ancora una volta che
quanto ho potuto offrire a questi detenuti è veramente poco, poco
più di niente.
All’entusiasmo carico di buona
volontà all’ingresso dell’istituto corrisponde allora la
delusione del ritorno, forse perché fondamentalmente nulla appare
cambiato, te ne esci e tutto rimane come prima, loro rimangono lì, non
possono seguirti, chiusi in una dimensione che ha dell’irreale, che
vorresti ma non riesci a comprendere.
Spesso la mia mente, quasi per sollevarsi
da un peso, arriva ad immaginare che quanto ho vissuto tra le celle del carcere
sia soltanto un film, in cui ciascuno finge un ruolo impersonificando
perfettamente la propria parte, chi fa quella del “guardiano” e chi
invece quella del sorvegliato, come in un interminabile gioco privo di alcun
senso alla fine del quale nessuno potrà dire di avere vinto, ma tutti si
sentiranno perdenti.
Ma quando mi percepisco totalmente
disarmato davanti a quel dramma che lungi da ogni finzione teatrale è
invece dura realtà non posso che riconoscere che è veramente poco
ciò che ho potuto dare a quelle persone e l’esigenza di fare
bilanci su quanto è passato diviene a questo punto spontaneo.
Nell’anno appena
trascorso la redazione di “Prospettiva Esse”, a cui ho collaborato,
ha conosciuto fasi alterne di sviluppo nel proprio cammino, da momenti di
sollecita ed entusiastica attività a periodi bui di rallentamento se non
di stasi. Il veloce turn over che ha visto nel corso dei mesi un continuo
rinnovarsi del gruppo dei detenuti coinvolti ha comportato spesso la
necessità di dover ricominciare “tutto daccapo”, dispersione
di energie, di competenze e conoscenze acquisiste.
Tuttavia, anche la precarietà di
alcune situazioni che lasciano il segno della delusione, mi hanno insegnato a
non disperare mai, a non perdermi d’animo, confidando nella
capacità, spesso inaspettata, di mutare che hanno le cose; e ciò
non per fiducia in un vago processo naturale di compensazione che vedrebbe
immancabilmente il rincorrersi sul grande scenario della vita di momenti
positivi e negativi, in cui ad una ripresa dovrebbe per necessità
seguire un declino e viceversa, ma per adesione ad un Mistero d’Amore che
mi sorpassa, tanto è infinitamente più grande dei miei miseri
pensieri e preoccupazioni, un Mistero che sa esaltare e portare a compimento
tutti i germi, per quanto piccoli, di bontà che stanno dentro
all’uomo e nelle sue azioni o iniziative, attraverso forme che, a volte,
appaiono non immediatamente comprensibili, anzi contrarie alle nostre attese,
ma che non mancano poi di rivelarsi, con sorpresa, generosamente apportatrici
di motivi di speranza, di spiragli di soluzione nuova e meravigliosa.
E’
illuminante allora scoprire come anche il carcere possa essere un simbolo che
rimanda ad una verità profonda, una sorta di paradigma esemplare che
mostra come la croce ed il dolore nelle sue poliedriche manifestazioni non
costituiscano l’ultima parola ma rappresentino anzi la via che conduce a
quei cieli nuovi e terra nuova che già pregustiamo qui nelle
realtà terrene ogni volta che abbiamo saputo spenderci per amore, senza
riserve e senza pretendere che tutto quanto giunga ad un successo immediato.
[Sommario]
Partire da noi
di Massimo Guglielmo
In
tutto il tempo che mi sono occupato di attività culturali
all’interno del carcere, ho sempre sentito parlare e commentare da tutti
gli addetti ai lavori di tutto quello che succede e della qualità della
vita all’interno delle mura carcerarie. Da qualche anno mi occupo, per
quanto posso, dello “Sportello Giustizia” gestito per
l’appunto dal Centro Francescano di Ascolto in convenzione con il Centro
di Servizio per il Volontariato. Un ulteriore modo di occuparsi di penitenziario
ma dal di fuori del carcere. Nei vari appuntamenti pubblici sul tema della
giustizia sentivo sottolineare da più parti dell’importanza che
riveste il territorio per l’istituzione carceraria. Forse però il
reale peso che riveste la cittadinanza per la popolazione carceraria l’ho
scoperta solamente rivolgendo il mio lavoro al mondo esterno. Ora posso
certamente affermare che il volontario impegnato nel settore giustizia non
è altro che un cittadino responsabile che si fa carico di altri
cittadini che la giustizia la vedono e la vivono dall’altra parte. Il
lavoro dello sportello, che si rivolge alle associazione di volontariato
impegnate in questo settore, è un lavoro culturale, che si esplica a
livello formativo e informativo, al fine di sensibilizzare il territorio al
senso della equità sociale. Il vero e proprio reinserimento sociale non
viene eseguito da operatori sociali, giudici, poliziotti o qualsivoglia
elemento istituzionale, ma dalla società, dalla comunità locale.
In questa direzione il lavoro da svolgere è propedeutico
all’accoglienza: più un territorio è capace di accogliere e
curare i propri mali maggiore è il livello di giustizia sociale. Il
tentativo è diretto al cambiamento dell’atteggiamento nei
confronti di colui che in qualche modo ha offeso e leso i valori nei quali si
fonda la società stessa. Il salto culturale di apertura e risposta
progettuale che si chiede è certamente molto alto e in troppi casi
utopicamente irraggiungibile, ma di certo rimane l’unico traguardo di
speranza per dare una risposta preventiva anche in termini di sicurezza
sociale. Una società che accoglie, è una società che non
teme e che educa alla solidarietà, è una società che sa
prendersi cura dei propri errori e sa come porre riparo con modalità e
servizi preventivi volti a categorie più svantaggiate e quindi
più a rischio.
Sono convinto che la sicurezza sociale non si ottenga con l’aumento del numero di poliziotti, ma con l’aumento di progetti, di iniziative e di investimenti economici ad indirizzo sociale. Per invertire la rotta è necessario partire da ognuno di noi, dal nostro atteggiamento, dalla nostra disponibilità, da quello che noi per primi siamo disposti a mettere in gioco per rendere la nostra vita più vivibile e solidale: Noi… io quanto sono disposto ad accogliere? Quanto di me stesso sono disposto a mettere in gioco? Partire da noi, dalle nostre motivazioni e dalla nostra attenzione a tutto quello che sta ai margini e quindi poco visibile agli occhi di tutti. In questa direzione uno degli obiettivi dello “Sportello Giustizia” è quello di mantenere accesi i riflettori su tutte le problematiche che riguarda l’istituzione carceraria nel tentativo di sensibilizzare e promuovere iniziative attraverso corsi formativi ed informativi, incontri pubblici e consulenze rivolti a tutti i volontari della regione Veneto e a tutti coloro che in qualche misura vuole saperne di più. Il lavoro non è certo facile, le prime resistenze le abbiamo riscontrate nel coordinamento con i centri di servizio delle altre province, parlare di carcere e di giustizia non sempre da la possibilità di trovare interlocutori disponibili. Nonostante tutte le difficoltà nel 2002 sono state attivate diverse iniziative tra le quali un progetto pilota “Dalla certezza al dubbio. Dietro le sbarre e dietro la lavagna...quando i percorsi scolastici incontrano la devianza” rivolto agli insegnanti delle scuole medie superiori di Rovigo. Il progetto si è esplicato in alcuni incontri formativi ed informativi sulle tematiche del carcere e della giustizia, con la realizzazione di una dispensa di ausilio rivolto a tutti gli insegnanti che volessero farne uso, distribuito nelle scuole della regione Veneto. Il tema della scuola è stato trattato anche in un convegno regionale organizzato sempre dallo “Sportello Giustizia” a Venezia nel mese di dicembre scorso. Per dare maggior enfasi e forza all’azione di sensibilizzazione, per un’associazione è importante non perdere il collegamento e il confronto con altre realtà presenti nel territorio locale, regionale e nazionale. Il Centro Francescano di Ascolto aderisce al SEAC - Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario, un Organismo che accoglie associazioni di tutta Italia che operano nel settore carcere. Partecipare ad una organizzazione nazionale ci da la possibilità di mettere in rete più risorse possibili per poter migliorare l’azione pubblica anche in un confronto politico. E’ importante e fondamentale per il volontariato non disperdere le energie ma raccogliere più forze possibili al fine di far sentire la voce di un mondo molto spesso relegato o peggio ancora delegato. La solidarietà sociale non deve però essere delegata solo al volontariato ma partire da ognuno di noi per dare forza al significato profondo della parola giustizia.