«Prospettiva Esse – 2001 n. 1»
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Editoriale
di Livio Ferrari
E’ solo passato un anno ma il giubileo e le conseguenti speranze che aveva alimentato sembrano così eventi lontani che quasi il ricordo è svanito. Negli istituti la vita è continuata a scorrere come e peggio di prima, visti i dati sull’aumento dei suicidi di questi primi mesi del 200l, soprattutto continua in un silenzio e rassegnazione da parte della popolazione detenuta che si sente più sola e lontana dal fuori che è la società. Perfino le discussioni elettorali, che in queste ultime settimane hanno inflazionato gli organi di stampa e televisivi, non trovano granché risonanza per una sorta di gattabuismo che rimanda gli echi e lascia spazio solo ai ritmi soliti del cambio della guardia, del passaggio dello spesino, dell’ora d’aria, della partita a pallone, delle lettere alle persone care, di ore e ore di branda con il cuore e la mente sempre più rassegnati.
Per fortuna nella redazione di “Prospettiva Esse” arrivano nuove sollecitazioni dall’aver trovato altri compagni di strada che daranno manforte nell’aumentare la qualità di questa voce reclusa da portare fuori. Infatti da circa un mese opera come volontario nella redazione Luca Pasqualini, un fotografo professionista che collabora con diversi giornali, il quale alla proposta di interessarsi di questa esperienza si è immediatamente coinvolto con energia, capacità e passione. Le foto di questo numero e quelle dei prossimi sono sue e la professionalità si vede, ma soprattutto fa sì che finalmente il nostro giornale sia tutto “nuovo” e “originale” che non è una conquista da poco.
Nelle ultime due settimane si è poi aggiunta una ulteriore presenza, quella di Sergio Sartori, che è quello con i baffetti nella fotografia di copertina della redazione, giornalista e addetto stampa della Provincia di Rovigo, il quale ha deciso di provare questa esperienza di volontariato, oltre all’impegno che già profonde in un’associazione sportiva, e nella prossima uscita diventerà il direttore responsabile di questa che sarà a tutti gli effetti una testata.
Questi ultimi coinvolgimenti sono segnali importanti che provengono da un territorio che continua a coinvolgersi e a tradurre atteggiamenti concreti di attenzione e solidarietà.
Il messaggio che ne esce, proprio nel ricordo di un giubileo che poteva esserci e non c’è stato per le persone carcerate, è che non deve accadere la necessità di produrre eventi particolari e straordinari per dimostrare interesse alle problematiche penitenziarie, ma ognuno di noi deve far germogliare la propria partecipazione. L’imprenditore e il commerciante, l’artigiano e l’associazione di categoria, l’ente locale e il privato sociale, tutti possono concorrere a dare futuro a chi uscirà dal carcere, nella consapevolezza che per ogni persona che ritroverà la propria dignità e si reinserirà nel tessuto sociale sarà stato fatto un passo in più per migliorare la qualità della vita dei nostri territori e il beneficio sarà a favore di tutti.
Questo, però, non con pietismo ma nella logica della giustizia, nell’attenzione anche alle vittime dei reati, con atteggiamenti e percorsi di riconciliazione che diano senso alla pena, perché quella che viene scontata oggi nelle nostre carceri è nel concreto solo vendicativa e svuotata degli imprescindibili significati costituzionali.
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Il braccialetto elettronico
di Ferdinando Cantini
Un tempo, anni or sono, un intermezzo pubblicitario si diffondeva via etere affermando l’intendimento di stupire con effetti speciali.
La giustizia Penale Italiana, acciaccata da molti e annosi malanni mai risolti e forse irresolubili, non riuscendo ad allinearsi in una strategia funzionale per funzionare, sembra intenzionata ad adottare gli effetti speciali: - Braccialetti Elettronici - di diverse fogge e misure ma buone per ogni malcapitato.
Il problema latente che si tenta di risolvere è la sicurezza sociale, che viene sempre più violata da episodi di micro e media criminalità.
La domanda più logica che ci si può porre è se il braccialetto elettronico può assolvere a questa funzione sociale.
Per ben comprendere la situazione bisognerà quindi analizzare su quale realtà il braccialetto dovrà operare.
A quanto si dice questo braccialetto sarà assestato al braccio alle caviglie dei detenuti che stanno seguendo un percorso alternativo alla detenzione in carcere per espiare la pena inflitta. In questo caso già dalle premesse è possibile constatare il fallimento, in quanto si verrebbe a violare il principio di responsabilità e reciproca fiducia che dovrebbe intercorrere tra il detenuto che beneficia del percorso alternativo alla detenzione e gli organi giudiziari che sono preposti a vigilare sulla corretta esecuzione di essi. E’ deprimente voler ridurre il rapporto così complesso che dovrebbe intercorrere tra il detenuto in via di riscatto e la società che lo dovrebbe nuovamente reintegrare, alla stregua del rapporto che esiste tra un conducente e il suo automezzo. Solo in quest’ultimo caso può essere sufficiente una spia rossa per segnalare il livello o la presenza dell’olio nel motore.
Altro uso a cui il braccialetto sembra voluto essere destinato è quello di essere applicato agli imputati sottoposti a misura cautelare non carceraria. In quest’ultima situazione il paradosso Giudiziario che si vorrebbe fare passare per ottimale è ancora più grave e offensivo della libertà individuale di ognuno che costituzionalmente dovrebbe essere garantita. Sarebbe come volere affermare che nelle more costituzionali, la libertà possano essere regolata in tre livelli o stati: una libertà piena, limitata solo all’ossequio delle leggi vigenti; uno stato detentivo per aver violato alcune norme delle leggi vigenti; e uno stato intermedio in cui per la salvaguardia del bene collettivo la libertà totale del soggetto non può essere più auspicabile, ma che nel contempo nemmeno lo stato della detenzione è più necessario ovvero non è reso più possibile in assenza di una sentenza irrevocabile. Questo terzo livello dovrebbe essere il settore in cui dovrebbe operare il braccialetto a guisa di effetto speciale. Lo stupore c’è, ed è evidente! Ma non può abbagliare o distogliere l’attenzione dal vero problema – l’inefficienza di un’impalcatura penale che sorregge o che dovrebbe sorreggere il sistema chiamato giustizia -. Amministrate è sinonimo concettuale di efficienza precisione e celerità, con l’ausilio di un braccialetto elettronico tutto ciò diventa utopia.
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Numero chiuso per ogni carcere
di Ferdinando Cantini
Parlando di edilizia penitenziaria e di funzionalità dell’edilizia penitenziaria, si può scrivere molto ed è stato scritto molto.
Tutto è in continua evoluzione e il susseguirsi di regolamenti nuovi ne è la conferma.
Il nuovo regolamento relativo al decreto del Presidente della repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 che è ancora in fase di attuazione ne è la conferma.
Nelle idee da cui trae ispirazione e nei fini che tende perseguire nulla è criticabile, una del resto nemmeno il precedente lo era.
Oggi si mira a portare l’acqua calda nelle celle, ad installare gli interruttori elettrici nelle stesse, a costruire spazi maggiori per i momenti di socialità e di aggregazione tra detenuti.
Tutto è bene, tutto e valido, ma c’è un’incognita latente che può minare ogni progetto ed a rendere non funzionale ciò che doveva essere funzionale :”Il numero massimo di capienza di ogni istituto detentivo” senz’altro è questo il principale e mai risolto problema dell’edilizia penitenziaria.
Ciò che può essere valido e funzionale si ospita 100 persone, può non esserlo più se li numero delle persone raddoppia.
A una discoteca, a un cinema, ad un autobus e ogni ambiente sia fisso che viaggiante viene calcolato in funzione di una capienza massima, questo non succede per le carceri.
Di questo male soffrono specialmente le case circondariali che sono più sensibili a questo problema perché anno il contatto più diretto nell’accogliere i nuovi ingressi.
Il sovraffollamento nelle carceri impedisce lo svolgimento di molte attività e la funzione corretta degli spazi che erano stati studiati per queste attività, ma sopratutto vanifica gli sforzi economici che sono sostenute dalla società.
Il problema di risolvere è chi deve stabilire la capienza massima di ogni singolo istituto di detenzione e, una volta stabilita rispettarla.
Senz’altro questo sarà il primo e il più grande passo di una seria riforma penitenziaria.
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Edilizia penitenziaria
di Assunto Malacrinò
Il perimetro murato con all’ interno ventimila metri cubi di costruzione adibita a struttura penitenziaria e rieducativa, nel centro storico di una cittadina di provincia del Veneto, negli ultimi anni più intraprendente, che non vuole perdere il treno migliore per stare sulle top city europee e senza molte pretese desidera levare dal centro storico questo scempio. Il ragionamento parte dell’utilità sociale che potrebbe avere l’attuale ubicazione del carcere che è praticamente sprecata, perciò lo si trasferirà per lasciare spazio forse ad un bellissimo e ultramoderno centro commerciale, oppure per costruire sulle già esistenti mura un castello cittadino, fortezza per chissà quale museo che più si addice al luogo e alla cultura, oppure lasciare l’esistente “zoo” ad imperituro ricordo e monito, come fattore d’immagine deterrente pur nello spreco dello spazio pubblico oltre che di cattiva utilità. Alla fine sarà solo un parco per far passeggiare famiglie intere e raccontare ai bambini di quello che un tempo c’era.
A fronte della scelta di costruire un nuovo istituto, prende posto la comicità, il senso del ridicolo. Contestualmente alla decisione già approvata dal Ministero della Giustizia, nel penitenziario vanno avanti spediti i lavori di manutenzione di questo male pubblico, attività che perlomeno impiegano qualche detenuto per la tinteggiatura degli uffici della direzione, dell’ amministrazione, dell’educatore, degli agenti, dell’assistente sociale, dello psicologo, in attesa che prosegua con la ristrutturazione dell’infermeria, della sala della socialità, del mettere finalmente l’acqua calda nelle celle, come prevede il nuovo regolamento, di dare accessibilità alla biblioteca, di attivare prese elettriche in sostituzione delle bombolette di gas che sono sempre un elemento di rischio al momento della prima depressione e incazzatura con il compagno di cella.
Ritornando al nostro tema, cioè della costruzione del nuovo carcere, cerchiamo obiettivamente di fare il punto della situazione, valutare se ne vale veramente la pena. Infatti qualcuno potrebbe chiedersi se vale la pena costruire di nuovo con una quantità di soldi da spendere, perché sia una struttura con le più idonee soluzioni al caso, a disposizione della giustizia, quando forse con molto meno potremo mettere a nuovo quello che già esiste.
L’argomento più forte poggia sul motivo delle strutture edili inadeguate, oltre al fattore “centro città”, ovvero davanti agli occhi di tutti uno spettacolo che è meglio relegare in periferia, come avviene per tutti i “lazzaretti” o “manicomi”. C’è pure un altro aspetto, meno edificante, che viene sbandierato e cioè che il nuovo istituto sarà più grande, con una capienza raddoppiata se non triplicata e, pertanto, si inserirà sul- la strada dell’attuale linea politica del ministero: ovvero se ci sono troppi detenuti per un numero di posti insufficiente a contenerli, aumentando la recettività delle nuove carceri, e costruendone anche di più, sarà risolto questo annoso problema e non si parlerà più della necessità di svuotare le galere, come si è fatto nell’anno del giubileo, evitando così imbarazzi e problemi elettorali ai nostri politici, con buona pace della sicurezza nazionale.
L’auto critica da parte istituzionale, riconoscere la propria inefficienza, sotto questo aspetto, è praticamente inesistente. E’ relegato agli addetti ai lavori interessarsi di chi nelle carceri ci deve passare il proprio tempo per cercare di cambiarsi, migliorarsi attraverso la disponibilità, l’impegno, la fantasia e tutti i dolori che accompagnano ogni pena, di tutte le responsabilità che in giudizio evidenziano quello che non è giusto, fuori luogo o comunque da ridimensionare in un adeguata struttura, che non può avere le caratteristiche della ormai vecchia idea delle strutture carcerarie, perché si continuano a creare luoghi di dolore e distanza, soprattutto dalla realtà. I conti, i tempi di attuazione, il nuovo terreno, la concessione edilizia da inserire nel piano urbanistico per una nuova casa circondariale, assorbiranno tutte le energie e gli interessi riducendo all’osso l’aspetto macroscopico della presenza in questi luoghi di esseri umani, che hanno sbagliato è vero, ma sempre creature.
Per chi, come noi, vive sulla propria pelle le decisioni altrui e sente la distanza tra quello che veramente sarebbe necessario e quello che sanno “costruendo”, dire che ci prende la sfiducia è un eufemismo, anche se non smettiamo di sperare che in mezzo ai mattoni di pietra se ne insinui qualcuno di speranza.
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Dalla redazione di Prospettiva Esse
di Ferdinando Cantini
Estendere il proprio limite giornaliero di spazio e di tempo, per un detenuto, è una delle principali aspirazioni. Interrompere il circuito vizioso di andata e ritorno che porta da uno spazio chiuso chiamato cella, ad uno spazio altrettanto chiuso chiamato passeggi, è quanto di più positivo possa accadere ad ogni detenuto. Questi fini possono essere perseguiti in diversi modi; la partecipazione a corsi di studio può essere un modo gratificante ed evolutivo della persona e quindi è un modo positivi di risolvere il problema spazio-tempo.
La partecipazione ad un corso di formazione professionale è un qualcosa in più di un semplice accrescimento delle proprie conoscenze, in quanto potenzialmente in grado di innescare un percorso di reinserimento nel tessuto sociale con delle aspirazioni maggiormente definite.
Nella casa circondariale di Rovigo si è appena concluso un corso per la formazione nella professione di pavimentista in genere e di posatori in profilo, nello specifico.
Alcuni di noi vi hanno partecipato e, tenuto presente che un’esperienza simile non era mai stata tentata, il risultato ottenuto può considerarsi soddisfacente.
Ogni esperienza positiva che raggiunge gli scopi prefissi oppure dei buoni risultati, pensiamo che debba essere salvaguardata e, se possibile, ripetuta.
Dalle pagine del nostro giornalino desideriamo, pertanto, rendere evidente l’interesse che nutriamo per iniziative di formazione e preparazione professionale ad un lavoro, che per tutti noi è un fondamentale passaggio per ritornare a vivere con dignità. A questo proposito desideriamo anche ringraziare la società “Polesine Innovazione” che ha organizzato e portato a termine il corso formativo, confidando che anche per loro sia stata un’esperienza positiva alla quale desiderino aggiungerne diverse altre.
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Obiettivo carcere
di Massimo Guglielmo
Il Coordinamento Assistenti Volontari della Casa Circondariale di Rovigo in collaborazione con il Centro Francescano di Ascolto di Rovigo e il Centro di Servizio per il Volontariato della provincia di Rovigo, nell’ambito delle iniziative programmate nel corso del 2001 per lo “Sportello giustizia”, organizzano una manifestazione dal titolo “Obiettivo Carcere” che si tiene dal 5 al 14 aprile presso la Pescheria Nuova di Corso del Popolo a Rovigo.
“Obiettivo carcere” raccoglie quattro mostre fotografiche e cinque seminari monotematici e ha, tra l’altro, lo scopo di portare proposte di conoscenza, incontro e discussione sulla realtà carceraria alla popolazione della città e del territorio circostante. Una opportunità per tutti di avvicinarsi in qualche maniera a un luogo ancora troppo separato, non soltanto per l’alto muro che lo delimita, ma soprattutto per i preconcetti, i pregiudizi, gli stereotipi, le convinzioni che chi sta dentro sia altro.
Una proposta, perciò, che il volontariato della giustizia produce nel suo ruolo di ponte tra i luoghi separati del territorio, che può, attraverso l’informazione e le immagini, diminuire la distanza tra il dentro e il fuori, alimentare percorsi di attenzione per favorire ritorni e riconciliazioni.
Angoli e spazi
L’occhio fotografico scopre punti, angoli e spazi di un carcere in un modo particolare e, nel nostro caso, attraverso l’opera di un agente di polizia penitenziaria, uno che vive nell’istituto tanto del suo tempo. Perciò le dinamiche e il senso degli scatti è dato da una visione “specializzata” del luogo, da una conoscenza maggiore di chi vi entra a qualsiasi altro titolo, e con un tocco originale.
La luna di vetro
La luna di vetro sta a significare: donna, fragilità, trasparenza interiore. Lo scopo è: cercare, immaginare, esprimere la parte “bella” positiva che ogni donna possiede dentro o fuori al carcere, consapevole o inconscia, immaginaria o reale. La macchina fotografica: un mezzo per approfondire la conoscenza di sé, e creare comunicazione-relazione tra donne detenute un rapporto con altre donne che vivono libere, seppure a livello virtuale poiché il muro del carcere divide-nasconde. Donne che hanno prestato i loro vestiti, vestiti con storie cariche di affettività, vestiti che hanno attraversato il muro e si sono posati sulle donne prigioniere.
Ritratto
Il gioco della faccia sullo specchio e dello specchio dell’anima, un volto, due simmetrie possibili. Fotoautoritratto: il volto in fotografia e l’immagine allo specchio. Fotocomposizione e fotofusione, nelle quali il riconoscibile volto non è il solito volto”.
Ritratti interni
Ognuno, se vuole, può realizzare il proprio autoritratto. Basta iniziare a progettare la propria immagine fotografica, confrontarsi con il materiale tecnico e con la propria fantasia.
I seminari
I cinque seminari proposti sono evidenze emblematiche di ciò che il volontariato presente nella Casa Circondariale di Rovigo propone in questi anni: “Carcere e territorio” per coinvolgere sempre più le diverse entità presenti fuori, enti locali e privato sociale, per dare tutti insieme maggiori risposte per il reinserimento sociale e lavorativo. “Il teatro recluso”, un’attività, quella teatrale, che nel giro di pochi anni è diventata un momento imprescindibile del coinvolgimento delle persone detenute, un richiamare uomini e donne a confrontarsi ancora con la finzione e la recita per riappropriarsi della propria dignità. “Polizia penitenziaria e volontariato” è un rapporto da sempre fondamentale per dare significato anche ai percorsi del trattamento intramurario, e un confronto che aiuta entrambi a crescere. “Il carcere trasparente” vedrà la presentazione dell’omonima ricerca sulle carceri italiane fatta dall’associazione Antigone per i diritti e le garanzie nel sistema penale. “Carcere e comunicazione” è un momento per parlare di Prospettiva Esse e del significato di organizzare una voce da dentro per farla arrivare fuori.
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Le frontiere di Internet
di Marco Lavoriero
L’esigenza della comunicazione definita pratica, veloce e un sacco di possibilità a disposizione di un’utenza che va dal bambino all’anziano, dall’Anatolia all’Alaska con programmi super compatibili ed anti hacker a disposizione di tutta una popolazione sincera , fantasiosa, onesta, bugiarda, ecc. ecc., purtroppo si ferma davanti ad una targa che assomiglia più ad una lapide con l’intestazione Ministero della Giustizia – Casa circondariale.
Carceri di chissà quante città, e dentro la morte della grande rete, è tagliati fuori dal nuovo mondo dell’informazione, del substrato visivo che spazia a disposizione dell’intellettuale e del disoccupato, con tutti i servizi pensabili, ma non per i “sepolti”, con tutte le possibilità di utenza infinita che si trasformano da substrato a intera crosta che ricopre il pianeta intero, pure le zone marine e i propri fondali come le viscere dei vulcani, e dietro la lapide sempre più morti, sempre più importante avere la connessione, saltare il cancello della cella, sezione cortile, il portone per trascinarsi nell’”autostrada” dove tutto c’è, si può vedere, consultare, studiare , analizzare, per le critiche, i confronti, le nuove iniziative e riempire videate di giorno e di notte, da sentire in gruppo e ottenere quello che poi dovrebbe diventare parte del nostro spazio a disposizione di chi ci ritiene ancora persone, vivi, magari non essenziali ma pur sempre anche piccola parte di questa società dove internet e le proprie applicazioni informative, formative, comunicative , produttive, divertimenti, diventano sempre più parte utile dei nostri accessori comuni, come un tavolo, la sedia, la lampadina, sempre nella esperienza non ci schiavizzi per non farci sentire sempre più prigionieri invece di infrangere le frontiere della comunicazione, perlomeno quella del pensiero.
Il problema si spera venga preso in considerazione, appunto per i troppo profondi pensieri o concetti che si possono sviluppare nelle lunghe meditazioni socio logiche o filosofiche che andrebbero senza filtro in circolo per creare poi nuove correnti politiche, nuovi trend sociali, e magari delegittimare istituzioni e società esistenti e che risulterebbero inutili, confusioni di valori, principi a disposizione del cittadino che ancora non ha visitato il sito “www.galera.it”, dove la visita del grande sarcofago appaga tutte le curiosità in merito di applicazione del nuovo ordinamento penitenziario e forse riuscirebbe pure a calmare tante richieste di vendette e rancori, delle cosiddette persone civili, vittime dell’illecito e che si sentono dimenticate dalla giustizia perché il dolore dei condannati non ha sfogo che nel proprio interno. Ulteriori potenzialità criminali in aggiunta al già molto della criminalità, popolo che delega le funzioni della sentenza a chi non riesce neppure in anni di attesa ad arrivare alla verità, alle responsabilità effettive, anni e anni per conoscere il profilo dell’individuo e relativo programma di espiazione della pena.
Questione purtroppo di basse frequenze e vecchi e superati processori, schede audio e video che senza il processare matematico non girano e che ancora mettono a disposizione del potere una giustizia e un video monocromatico che nasconde tutte le figurative incoerenze di un sistema operativo con le chiavi in mano, senza logica applicativa e senza possibilità di scaricare dalla rete quello che c’è di più utile ai nostri sentimenti, ai nostri desideri e cioè gli affetti più cari e i mancati amori.
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Gli stranieri nella casa
circondariale di Rovigo
di Marco Lavoriero
Gli stranieri detenuti nella Casa circondariale di Rovigo, sono all’incirca il 40% .
C’è un assistente sociale che si dedica alle problematiche degli stranieri e quasi tutte le settimane tiene dei colloqui con chi ne fa richiesta. L’assistenza concreta viene fatta dall’ amministrazione della Casa Circondariale tramite dei sussidi e pure il cappellano, don Damiano, fornisce aiuto economico e vestiario. L’assistenza medica è uguale come per gli italiani, pure il lavoro, che viene assegnato a rotazione. Iniziativa molto utile è il corso di italiano che naturalmente è frequentato solo da stranieri.
Don Damiano è sempre stato disponibile per favorire le necessità spirituali degli appartenenti ad altre religioni, soprattutto nel periodo del Ramadan. Pure con l’amministrazione nel periodo in questione ci si accorda per organizzare il vitto in maniera particolare cercando di rispettare tutte le disposizioni religiose, definito il tutto nel migliore dei modi e nei dettagli con il personale della cucina e portavitto.
Un grande problema invece è l’assenza di proposte e iniziative culturali non soltanto da parte dei detenuti, ma molto di più dalle Autorità straniere in Italia. Libri e materiale didattico nelle varie lingue, sono totalmente assenti dalla biblioteca e pure dalle celle, non si può neppure pensare di arricchirsi culturalmente con questa totale assenza di supporti informativi nella lingua madre che andrebbero a preservare le culture e formazioni di base dell’individuo, che dovrebbero essere invece tutelate pure nei principi che esprimono.
Attualmente c’è un gran discutere per quello che riguarda le nuove leggi sull’espulsione degli stranieri e le comparazioni con il resto d’Europa. Un aspetto ancora bene da definire sarà quella dell’espulsione a fine pena. Tanti stranieri sarebbero disponibili ad assorbirsi i costi di rimpatrio, cosa che quando si espia totalmente la pena non avviene, perché non si osservano neppure le disposizioni dell’espulsione. Naturalmente c’è da tenere conto che a causa della mancanza delle apposite strutture per le misure alternative vengono a mancare i presupposti per applicarle, nonostante siano previste nell’ordinamento penitenziario. C’è appunto un po’ di confusione ancora per queste situazioni che sono in via di definizione, soprattutto a livello politico, dove spesso non si tiene in considerazione la praticità ed il vero senso di necessità degli individui che soccombono alle slavine sociali che non conoscono frontiere politiche o culturali e coinvolgono chiunque non riesce affrontare ed opporsi all’ illegalità, che spesso regna nella emarginazione delle clandestinità e desideri di costruirsi una nuova posizione sociale. Forse però nelle carceri si respira molta più eguaglianza che non nella vita comune dove gli interessi personali devono essere maggiormente tutelati dalle infiltrazioni di interesse straniero e varie concorrenze. Dentro non esistono perché fuori, oltre alla percentuale di stranieri molto più alta, il vivere allo stretto contatto impone l’acquisizione diretta di tutte le problematiche inerenti, che sono poi umane e risolvibili, basta capirle ed avere una logica civile per risolverle.
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Un calcio all’indifferenza
di Paolo Ardemagni
Il giorno tre marzo duemilauno, sotto un leggera pioggerellina, ha avuto inizio il terzo torneo di calcetto “Un calcio all’indifferenza” organizzato dall’UISP di Rovigo. Il presupposto di questo torneo si basa su un calcio senza violenza, contro l’intolleranza e il razzismo e contro l’emarginazione e la solitudine.
Alla manifestazione è pure collegata un’iniziativa di solidarietà con la famiglia di una bambina di Arquà Polesine, bisognevole di sostegno finanziario per seguire le necessarie cure mediche. Tutti gli introiti derivanti dalle penalizzazioni che saranno pagate dalle squadre durante il torneo saranno destinati a detta iniziativa. Gli enti che patrocinano l’iniziativa sono: la Provincia di Rovigo, il Comune di Rovigo, il Provveditorato agli studi di Rovigo ed i Comuni di Stienta e Porto Viro. Ad inaugurare i giochi all’interno della Casa Circondariale è stata la partita tra la squadra dei detenuti e quella della Polizia Penitenziaria. Per determinare la vincente si è dovuto ricorrere ai calci di rigore. Da questa “roulette” è risultata vincente la squadra della Polizia Penitenziaria per nove a sette. La settimana successiva, il dieci marzo scorso, la squadra dei detenuti si è incontrata con quella delle Fiamme Gialle di Rovigo. La partita ha avuto fasi alterne ed il risultato è stato incerto, ma alla fine il risultato ha dato ragione agli ospiti per dieci a nove.
La più immediata riflessione che possiamo fare riguarda la coesione che abbiamo dimostrato nell’organizzazione, pur consapevoli delle molte lacune ancora presenti e perciò del grado di miglioramento possibile. L’occasione della manifestazione sportiva è un qualcosa in più ci è dato di vivere in queste giornate inutili e l’incontro con chi arriva da fuori potrebbe assumere aspetti di condivisione molto più pregnanti del solo gioco del calcio.
Staremo a vedere se sapremo trovare la modalità per alimentare più fattivamente la dimensione umana che si snoda attraverso la manifestazione sportiva.
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Storia di un extracomunitario
di Ayari Tarek
Il peregrinare pieno di speranza di tanti extracomunitari si scontra spesso con una realtà emarginante e crudele dove i buoni propositi non hanno spazio e il futuro diventa solo dolore.
Sono venuto in Italia per cercare un lavoro onesto ma sono stato nella necessità di dover lavorare in nero. All’inizio ero contento lo stesso di quello che mi davano, mi accontentavo sperando che con il passare del tempo e vedendo la mia serietà ed impegno il padrone mi avrebbe messo in regola e così potevo avere il permesso di soggiorno. Quando ho fatto presente le mie aspettative ho ricevuto in cambio solo problemi e la conclusiva cacciata.
Mi sono ritrovato così in mezzo a una strada, senza un tetto, senza un soldo per mangiare con vestiti che mi restavano addosso per settimane. Tutto ciò non giustifica certo la successiva scelta, ma è stata un po’ una strada obbligata, come succede troppo spesso per altri disperati come me, quella di entrare nel giro della malavita.
Attraverso lo spaccio di droga ho visto aprirsi per me le porte della galera, con un’accusa ulteriore e più pesante ancora: quella di tentato omicidio. Ho scontato cinque anni e otto mesi di detenzione, ingiustamente, e, dopo essere uscito il 19 agosto dello scorso anno, sono rimasto in libertà solo per un mese.
Mi ritrovo, infatti, ancora qui dentro con una nuova accusa di possesso di droga, pur se posso assicurare che non è vero niente.
Anche in carcere la vita è brutta e triste, soprattutto per gli stranieri non c’è lavoro ad esclusione di quei pochi che sono impiegati in mansioni di pulizia. Nonostante tutto quello che mi è successo ho ancora il desiderio di ritrovare la strada di una vita onesta, trovare un lavoro regolare e poter vivere in santa pace, senza paure, con qualche piccola soddisfazione e incontrare una compagna con la quale costruire una famiglia.
La sofferenza che con i miei comportamenti ho causato ai miei genitori, che tra l’altro non vedo da otto anni, spero di poterla tramutare in soddisfazioni per loro e per me, confidando anche in un poi di fortuna, anche perché i miei sono sogni semplici.
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Conferenza sulla droga
di Paulin Lleshi
Dal punto di vista internazionale c’è un impegno da parte di tutti gli Stati ad una collaborazione globale per combattere il fenomeno droga. Questa battaglia che parte dalla produzione, allo spaccio ed al consumo degli stupefacenti, ha un volto e un nome: Pino Arlacchi. La strategia dopo due anni, dal punto di vista puramente tecnico, ha avuto esito positivo. C’è stata una stabilizzazione del fenomeno, a suo dire, e in alcuni Paesi la riduzione dell’uso di droghe pesanti. In quegli Stati dove l’economia si basa sulla produzione delle droghe, tipo Afghanistan, Colombia, Pakistan, Tailandia, etc., attraverso un aiuto economico da parte dell’ONU per attuare progetti che tendano a soppiantare coltivazioni in uso di droghe con altre altrettanto remunerative, si è avuto una riduzione della produzione globale dell’11 %. Secondo il sig. Arlacchi tutto ciò è dovuto ad una armonizzazione in tutti i Paesi delle leggi contro la droga, senza nessun tipo di liberalizzazione neanche per quelle droghe cosiddette leggere. All’ultima Conferenza sulle droghe di Genova, hanno partecipato i maggiori esponenti del nostro Governo, dal Ministro per la Solidarietà Sociale Livia Turco, al Ministro della Sanità Umberto Veronesi e quello della Giustizia Piero Passino. Tutti e tre gli esponenti del nostro Governo hanno convenuto all’unisono che il “drogato è un malato da curare”. La ministra Turco ha dichiarato che il drogato deve essere aiutato a ritrovare la sua dignità attraverso quegli strumenti pubblici (Sert) e privati (comunità) che negli ultimi anni hanno raggiunto la consapevolezza che per combattere con successo l’uso di sostanze è necessario prendersi cura e farsi carico di quelle persone che ricorrono alle droghe per crearsi una felicità illusoria. Veronesi ha dichiarato che il miglior sistema è la prevenzione a livello familiare, scolastico, sociale e del tempo libero (progetti e opportunità della vita). A livello sanitario la riduzione del danno può attuarsi attraverso un miglioramento dell’interazione fra i Sert e le comunità terapeutiche. Passino dopo una tabella d’indagine in qui dichiara che su una popolazione di circa 54000 detenuti, 14600 sono tossicodipendenti, 7200 sono in carcere per reati legati allo spaccio e solo il 50% usufruisce dell’affidamento alle comunità terapeutiche, afferma che c’è un impegno da parte dello Stato per aumentare il numero di soggetti tossicodipendenti intenzionati ad uscire dal circuito della droga attraverso l’utilizzo della decarcerizzazione più che la depenalizzazione, con strumenti del tipo: allargare l’accesso alle misure alternative oltre i quattro anni di pena, richiedere alle comunità terapeutiche oltre a un percorso terapeutico anche l’attenzione all’aspetto sicurezza, per ma- lati di aids, raddoppiare i parametri e consentire anche ai malati gravi la possibilità di curarsi presso strutture esterne; la disponibilità di aumento di risorse funzionarie per l’affidamento alle comunità terapeutiche, da lire 40000 a 60000 per utente. Unificazione degli obiettivi del Ministero della Sanità e della Giustizia, relativamente ai programmi di recupero rivolti ai tossicodipendenti in affidamento e un allargamento a tutti gli Istituti di custodia attenuata dei servizi per la tossicodipendenza.
Ci si chiede se tutto ciò resterà solo una buona intenzione o diventerà una realtà?
A tutt’oggi non sembra che sia questa la realtà, dati alla mano, se dalle dichiarazioni del Ministro Passino in carcere in Italia ci sono 54000 detenuti di cui 14600 sono tossico dipendenti.
Da alcune ricerche fatte da associazioni dedite al recupero e all’affidamento, le carceri italiane potrebbero ospitare 40.000 detenuti. La media del costo giornaliero per detenuto è di lire 400.000, pari a 20 miliardi al giorno, cioè oltre 7.000 miliardi l’anno. Sono in affidamento 35.000 persone tra essi 6.358 per reati legati alla droga. Il costo in ragione di affido al Ministero della Giustizia è di f, 8.850 al giorno. Il che significa una spesa di 9 miliardi per tutti gli affidati a fronte di oltre 7.000 miliardi. L’Italia è il fanalino di coda nell’ affrontare il problema. A livello Europeo si è molto più avanti nell’ esperienza dell’affido con percorsi riabilitanti in comunità, rispondendo alle esigenze di cambiamento della persona che ha commesso dei reati e alle esigenze di sicurezza sociale. Le persone ristrette in carcere o agli arresti domiciliari sono spesso fonte di malumore e di ulteriore criminalità:
L’Affidamento sociale in prova, invece, garantendo la concreta effettività della pena, può alimentare la riparazione del danno, l’integrazione sociale, modalità che evitano le ricadute nella attività malavitose e criminali.
Il paradosso è che, pur riducendo la spesa carceraria, le risorse risparmiate non vengono date agli enti pro-carcerati, le risorse risparmiate non vengono date agli enti che curano l’affidamento.
Così facendo, cioè non reinvestendo il risparmio, si corre il rischio di non dare alle persone in affidamento quelle possibilità di riabilitazione sociale e lavorativa che possono essere determinanti per vedere ridotta la criminalità e crescere la sicurezza.
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Edilizia penitenziaria
di Giuseppe Marzano
Il lavoro è il primo passo per qualsiasi detenuto a ritrovare la propria dignità di uomo libero. Le nuove costruzioni carcerarie potrebbero diventare occasioni per alimentare questo recupero e dare un futuro per il reinserimento della persone.
Si discute parecchio ed appassionatamente delle possibilità che il nuovo ordinamento penitenziario concede non solo per il miglioramento dell’individuo, ma pure dei contenitori dove questi vive, cioè le strutture edilizie, e sicuramente a Rovigo queste necessitano di un intervento “sottocutaneo”.
Per fare tutto questo serviranno società e cooperative che dovranno intervenire per attuare le migliorie progettate.
In questa ottica sarebbe pensabile poter far sì che un’azienda assuma dei detenuti per i lavori in questione, che non è poi una cosa impossibile, addirittura una cooperativa costituita da detenuti.
La scelta delle ragioni sociali è vastissima, dalle normali società, alle società cooperative a rischi variabili, alle forme più comuni d’impresa artigiana e prestatori d’opera che possono stipulare contratti a corta, media e lunga scadenza con il Ministero di Giustizia. Prendiamo un caso, cioè quella dell’ installazione dell’impianto dell’acqua calda nelle celle. Tre detenuti si accordano di svolgere il lavoro, un muratore, un idraulico e un manovale. Questi tre possono costituire una società a nome collettivo ed iscriversi alla Camera di Commercio come artigiani prestatori d’opera alla società costituita, che fattura al Ministero di Giustizia i lavori eseguiti. Cosi ci sarà l’apporto lavorativo singolarmente valutato, per individuo e per progetto per il quale vengono stanziati i fondi necessari. Il tutto darebbe pure una necessaria autonomia alle persone di svolgere le attività professionali in una forma autonoma e sorvegliata, data la restrizione a cui sono sottoposti. Pure l’impostazione della contabilità costituirebbe situazione di formazione sorvegliata dell’individuo, che finita la pena potrà proseguire nella sua azienda già avviata per la produzione. Tutta l’attrezzatura minima indispensabile farà parte del suo grande capitale, come certi macchinari saranno della società e di uso societario.
E’ solo questione di concedere la possibilità, e nel nuovo ordinamento ci vengono concesse, perché appunto nell’obiettivo per il quale è stipulato c’è la “costruzione” della dignità dell’ individuo, della crescita sociale autonoma con le proprie forze e grazie alle strutture che gli hanno dato un avvio iniziale con una sana e specifica impostazione aziendale.
I costi sono limitati, ci sono pure i fondi assistenziali che potrebbero venire usati per le prime fasi burocratiche che purtroppo in Italia sono ancora molto costose, mentre poi gli avanzamenti dei lavori comportano pure le liquidazioni scaglionate, previste in qualsiasi contratto.
Quello che si vuole ottenere da un detenuto lo si deve pure favorire e non impedire, perché non giova a nessuno il relitto umano che vaga per una città in cerca di compassione e carità per evadere dalla realtà emarginante.
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I rappresentanti dei nostri
diritti dove sono?
di Marco Lavoriero
Le discriminazioni si respirano nei penitenziari, le offese navigano come se il carcere fosse un mare calmo, dove tutto può essere esercitato, perché sorretto da un comune denominatore dell’ ignoranza e del non riconoscimento dei diritti.
L’istituzione ministeriale lavora per se e per i propri figli, per le funzioni riportate nelle disposizioni, nei paragrafi e commi vari, ma la pratica è molto diversa, la quotidianità non è dignitosa, le giornate una sull’altra passano nelle discriminazioni, di chi è più bravo ad esercitare la propria pressione psicologica sul compagno attraverso le possibilità di un sistema penitenziario senza regole stabilite, con norme vaganti per chi vuole mantenere la dottrina degli uomini d’onore, delle cupole che si spartiscono le solite torte, e le briciole per i soliti pezzenti ed il tutto insegnato tradizionalmente dalla politica, che comunque gira, pure in questi ambienti la fa da padrona. I riconoscimenti agli impegni sono e devono essere finalizzati al mantenimento del sistema perverso che regna all’interno del carcere e non sulla volontà dell’individuo che si migliora, che ampiamente dimostra negli intenti e nei fatti la revisione della propria indole e tendenza.
Ti si manda un avvocato, gli racconti la tua situazione, che stai subendo, che non è legale, che ci sono abusi etc. e non ricevi risposta, non sai se lavorano sui tuoi atti oppure se ne fregano, chiedi giustizia attraverso l’istituzione statale e ti accorgi di sbattere contro una locomotiva in corsa, chiedi perdono e ti chiamano infame, chiedi aiuto e ti pignorano le mutande, il tutto ti porta a diffidare di qualsiasi istituzione perché comunque dipendente dalle convinzioni di un magistrato di sorveglianza. Non c’è un cantuccio dove rifugiarsi e riprendere fiato, per continuare in dignitosa forma una detenzione che ti riconosca che sei stato offeso per determinati motivi, che lavori per rimettere in piedi la tua persona che è stata abbattuta dall’istituzione che non mette a disposizione l’informazione necessaria a far sì che tutto possa avere almeno un minimo di logica e senso pratico, un cantuccio dove poter piangere i propri diritti, i guai che ti pesano sulle spalle e nessuno fa nulla per risollevarti, riconoscerti e ridarti una dignità di diritto, che dia fiducia nell’uomo, nella vita, nel riconoscimento delle attitudini, capacità, debolezze, passioni, piaceri e tutto quello che può riservare la vita ad un detenuto, già scarto di una società e che non lo si può scartare pure in questi posti.
Dargli una persona in cui credere, potersi fidare, che gli indichi le possibilità di scelta, lo tuteli nelle situazioni a rischio e movimentate, l’azione che tanto affanna e rende vile al punto da diventare detenuti, continuando a sognare valori che sono a disposizione di un mercato e non della propria persona e delle soddisfazioni che si vorrebbero ricevere dalla vita. L’importante è “soddisfare la sete di vendetta” delle persone offese dal reato, poi viene la soddisfazione dell’opinione pubblica, e poi lo scarto radioattivo pericoloso per la società comune, comunque va imbrigliato e costantemente sottoposto a test e tagliandi di manutenzione di una vita che non può più essere una libera espressione d’amore, che ognuno di noi dovrebbe rappresentare con il proprio esistere.
L’importante è poter manovrare le azioni, le fasi giudiziarie per l’esercizio del potere e non per la ricostruzione legale di un individuo, dare comunque sempre e costantemente segno del potere che si abbatte su chi ha varcato il portone del carcere e non su chi commette reati, non rispetta il diritto pubblico e privato o chi vive una vita all’insegna della rovina del prossimo . Ecco che per richiedere tutte queste cose sono necessarie le competenze, le capacità, ma soprattutto per espletare il diritto ci vuole la pace, per essere un Paese civile ci vuole la tranquilla scelta migliore tra i fatti che costituiscono la civiltà.
In queste restrizioni esenti da effetti ci si penalizza con la voglia di apparire comunque costantemente e virtualmente. Il sogno che, perché sbagliato nella forma o nella sostanza, la legge ci ha infranto, in questi posti ci ha costretto per poter sognare domani migliori. E’ giusto che sia così, sempre che vi sia la giusta e fondata realtà dei fatti e non delle apparenze dei fatti, interpretazione di questo sogno. La gente comune non ha potenziale analitico sufficiente per definirlo e non so neppure se un giudice riesca ad averlo, perché ci si trova fuori dai concetti d’intesa con le azioni da loro imposte sulla base delle loro convinzioni ed i nostri muti appelli alle loro sorde orecchie portano ulteriore sconforto e pena per una categoria che non riesce a capire le proprie funzioni in forma ottimale.
Chi rappresenta i nostri diritti in carcere se non chi ne è partecipe pure lui nella detenzione, ma di questo non c’è ombra. C’è una commissione sportiva, una commissione cucina, ma non c’è chi può mettere il tutto in discussione, con le persone preposte a risolvere i problemi inerenti la detenzione o i diritti che devono essere rispettati e garantiti. Purtroppo c’è pure un motivo perché questo non c’è, non è presente una rappresentanza di detenuti e risiede nei soliti muti accordi incivili tra detenuti volgari e prepotenti e le nicchie di potere che stagnano nelle istituzioni, costantemente al servizio del potere e non del diritto di un Paese civile. Le persone hanno ancora purtroppo concetti predefiniti di quello che è il carcere e non riescono ad emanciparsi congiuntamente alle leggi che si approvano, ai protocolli che si stipulano e dovrebbero venir applicati in forme che purtroppo li rimandano ad altre necessità legislative.
La giustizia non è chi sbaglia paga, è molto ma molto di più di un semplice debito sociale a disposizione dell’arte di litigare.
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Teatro
di Paolo Ardemagni
E finalmente c’è un’ora di svago anche per noi. Proprio nel giorno di S. Valentino, nella Casa Circondariale di Rovigo si è tenuto un simpatico e coinvolgente spettacolo comico, con ospiti illustri provenienti dal programma televisivo Zelig: Natalino Balasso il porno attore, originario di Rovigo e Tarcisio Pisu che con le loro battute hanno regalato un’ora di allegria ai detenuti, della sezione maschile e femminile riuniti nell’unico spazio che possa contenere un po’ di gente che è la chiesa del carcere. Non è la prima volta che succede che gli abitanti reclusi del maschile e femminile si incontrano per assistere a spettacoli, e questo grazie ai programmi teatrali che da alcuni anni portano avanti i volontari della compagnia “Arancio Chimera” di Rovigo, regalando un po’ di svago a noi detenuti. Lo spettacolo è stato un crescendo di battute e gag che cercavano sempre di coinvolgere le persone presenti e posso affermare che ci sono riusciti. Non siamo certo noi che scopriamo le qualità comiche dei due artisti in questione, che già diversi di noi apprezzavano tutti i lunedì sera per televisione. L’aspetto più significativo è stato che oltre all’impegno a farci ridere e divertire, hanno pure dato segnali di grande disponibilità ed umanità, doti che non sempre si coniugano facilmente nel genere umano.
Li ringraziamo tantissimo per averci regalato un poco del loro tempo, come pure siamo grati a Sara e Simone per l’impegno che stanno profondendo e l’abnegazione con cui operano, coscienti delle difficoltà che spesso incontrano in un luogo difficile come il carcere e per la loro pazienza con tutti noi.
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Dimensione di un vuoto
di Ferdinando Cantini
Tre metri e ottanta centimetri, la lunghezza.
Due metri e venti centimetri, la larghezza.
Il tutto è la tua cella. Questo lo spazio in cui tu
uomo reo espirerai la tua colpa. Ma solo non sarai ....
A condividere ogni tuo centimetro
nella tua cella
ci sarà un compagno che da te non è scelto
e da te può essere non desiderato,
ma con lui condividerai
tutte le gioie del tuo dolore. Tre metri e ottanta centimetri, la lunghezza.
Due metri e venti centimetri, la larghezza.
Il tutto diverrà la tua vita. Questo il luogo da cui tu uomo reo
lacrimerai nei sogni di libertà.
Ma solo non sarai…
A condividere ogni tuo minuto
nella tua cella
ci sarà un calendario
che senza colpa inchiodato è al muro
e ti ricorda le croci, con cui annullerai
ogni tuo giorno, perché non vissuto
e, tutte le gioie del tuo dolore. Tre metri e ottanta centimetri, la lunghezza.
Due metri e venti centimetri, la larghezza.
Il tutto... Non è che niente!
Per quanto alto può essere un muro
non riuscirai mai ad arginare... che il bene si rimescolerà con il male.
Tre metri e ottanta centimetri, la lunghezza.
Due metri e venti centimetri, la larghezza.
Il tutto è solo “la gabbia”.
... L’uomo... , l’unico animale capace di costruire una gabbia
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Floricoltura per l’area estiva
di Paolo Ardemagni
Il giorno otto febbraio di quest’anno, nella Casa Circondariale di Rovigo, è cominciato il corso di floricoltura rivolto ai detenuti italiani ed extracomunitari presenti. Questo corso ha, tra l’altro, lo scopo di abbellire un quadrato dell’area esterna per l’aria estiva. Questo spazio verde, realizzato grazie alla disponibilità della direzione carceraria dà la possibilità di poter seguire dei corsi di floricoltura che ci aiutano per un futuro reinserimento sociale. Tutto ciò è stato possibile grazie ad un’associazione di volontari di Rovigo che hanno proposto un pacchetto di corsi alla direzione e alla stessa popolazione carceraria, che hanno scelto sia quello di florovivaismo, che uno di italiano, principalmente per stranieri che non conoscono la nostra lingua. Questi corsi di formazione danno ai detenuti la possibilità sia di conoscere un lavoro che di rendere più sopportabile la vita all’interno del carcere. Il corso di florovivaismo all’interno del carcere viene successivamente ad un altro corso organizzato l’anno precedente da un’altra associazione (Polesine Innovazione). Il corso di “posatore specializzato nel porfido”, organizzato con il contributo della Regione Veneto, aveva dato alla direzione e ai detenuti la possibilità di sviluppare un progetto di costruzione all’interno del carcere dell’aria estiva, per fare i colloqui tra detenuti e familiari con bambini
Ciò da la possibilità ai detenuti di avere un contatto più diretto con i propri familiari, e a rendere meno duro l’impatto con il carcere ai figli dei detenuti stessi.
Bisogna sottolineare che questi lavori essendo all’esterno della struttura carceraria sono stati possibili grazie all’impegno della direzione e degli agenti di polizia penitenziaria e degli stessi detenuti che hanno svolto il loro lavoro con molta serietà.
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Informacarcere
di Giuliano Capecchi e Beatrice Cioni
E’ passato più di un anno dall’incontro che si tenne a Firenze nel dicembre del 1999 su: Informazione e carcere, i giornali del carcere ed altro... e che dette vita ad un coordinamento nazionale Informazione e giornali del carcere di cui facevano parte: OmelIa Favero (Ristretti Orizzonti - Padova), Marcello Mattè (May Day - Bologna), Barbara Antoni (Ragazze Fuori Empoli), Giuliano Capecchi (Liberarsi dalla necessità del carcere Firenze), Susanna Ronconi e Patrizia Brigoni (Gruppo Abele - Torino), Claudio Flores e la Redazione de La Storia di Nabuc (OPG Aversa) e Beppe Battaglia (il filo di Arianna-Eboli).
Dal convegno di Firenze e da successivi incontri scaturì l’idea di organizzare un secondo momento di dibattito all’interno di un carcere per dar modo anche ad alcuni detenuti, che non potevano usufruire di permessi, di essere presenti tramite una traduzione appositamente effettuata dal DAP. Individuammo il carcere di Prato, ma questa soluzione divenne impossibile all’ultimo momento (giugno 2000) e neanche fu praticabile il carcere di Pisa.
A questo punto ci sembra che la soluzione più facile da concretizzare sia quella di fissare il secondo appuntamento nazionale nella città di Firenze a novembre di quest’anno.
Perché non prima? Non solo e non tanto per le prossime elezioni di maggio e per il successivo periodo estivo, ma soprattutto perché il lavoro da svolgere non è poco e non avrebbe senso a questo punto affrettare i tempi.
Cosa è necessario fare nei prossimi due mesi (marzo e aprile)?
Riprendiamo la strada chiedendo a tutti coloro che leggeranno questa lettera circolare di farsi vivi prima possibile, di dirci come stanno andando le loro realtà e quali sono i loro progetti per il prossimo futuro, se possono dare una mano a rimettere in piedi il coordinamento nazionale, se si sentono di organizzare prima dell’estate un incontro con le realtà della loro zona...
Appena ricevute le prime risposte le risocializzeremo.
INFORMAZIONI:
Coordinamento Nazionale Informazione e Giornali del Carcere
c/o INFORMA CARCERE
Via G. Modena, 13 – 50121 Firenze
Tel. 0554384103 fax 0554384100 e-mail: informacarcere@regione.toscana.it
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L’importanza di una giornata di studi nel carcere di Voghera
a cura dell’Associazione Pantagruel
Le sezioni ad elevato indice di vigilanza sono una particolarità delle carceri italiane che alle volte fanno sì che ci sia un carcere nel carcere, una situazione che merita un confronto e una riflessione.
Un gruppo di detenuti del carcere di Voghera sta cercando di organizzare una giornata di studi sulle sezioni ad elevato indice di vigilanza (e.i.v.) e ha chiesto la collaborazione della segreteria del Coordinamento Informazione e Giornali del Carcere. I materiali che hanno preparato sono molto seri e validi e l’idea è anche interessante perché riguarda un dibattito “sulle normative e sulle condizioni di vita” di queste particolari sezioni che si trovano oltre che a Voghera anche nelle carceri di Nuoro, Biella, Livorno, etc. Stanno sostenendo questa iniziativa anche alcuni parlamentari (Pisapia, Manconi, Salvato, Russo Spena ed altri) e alcuni consiglieri regionali della Lombardia, ma devono essere ancora vinte le resistenze del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di Roma che non ha sinora dato un parere favorevole. Questa giornata di studi potrà dare la possibilità a soggetti diversi: funzionari del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e operatori del carcere, magistrati, professori universitari, volontari e detenuti di approfondire in modo serio le tematiche del carcere attraverso le particolarità di queste sezioni differenziate.
E’ importante evidenziare che l’iniziativa parte da un gruppo di detenuti che vogliono discutere con altri soggetti e che mostrano chiaramente di volersi impegnare con un metodo democratico, attraverso una giornata di studi, per dare un loro apporto di critica positiva Chi è da anni impegnato nel carcere e che conosce la sua realtà non può non elogiare questo metodo attivo di un gruppo di detenuti, soggetti che troppo spesso, data la loro condizione, tendono ad una accettazione passiva della vita che sono obbligati a trascorrere nel carcere. Confidando in un parere favorevole all’iniziativa del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e lasciando aperta la possibilità che detto momento di confronto possa essere organizzato in un carcere che non sia necessariamente Voghera ma che comunque abbia una sezione ad elevato indice di vigilanza e una direzione disponibile, ovviamente, dando la possibilità ai detenuti di Voghera eventualmente di partecipare ed esprimere le loro opinioni.
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Voli di dentro
(poesie e quant’altro)
RICORDO
Ancora ben ricordo
quando da Firenze arrivavi
per riscuotere tra le mie braccia
con passione ti pregavo.
Tutta fiera da treno scendevi
controllavi l’odor dell’aria
e con il tuo passo incerto
t’impadronivi della mia vita
al punto di stare bene
Ma non parlavi mai
né di te e né di noi
ma gli occhi tuoi tremanti
mi fecero terrore
di conoscere prigione d’amore
La solitudine oltre ti diedi
In cambio di tutti i bei baci,
le ferite che ti ho fatto
per non rivederti gli occhi tremare
il tempo per me con passione ti pagò.
INSONNIA
I rami fitti fitti
e intarsiati eccoli
subito scomparsi in un verde
che i miei occhi accarezzano
e vorrebbero toccare.
Passo la notte
a sfogliare le memorie
e la mattina poi
è solo e sempre niente.
Il mare ritorna
con lanterne e sciarbodio.
Due gatti miagolano
e tengo nelle mani
un grappolo di glicine.
Antonio Mazzali.
VENTO DI PRIMAVERA
Vento di primavera che porti con te il profumo dei fiori,
ti ho sentito l’altra sera.
Mi hai portato notizie della mia signora.
Lei è là lontana e sofferente, vuole abbracciarmi e dirmi:
ti amerò per sempre.
Io son qui distante ed incantato, vorrei distruggere tutto
in un solo fiato, e come un uccello spiegar le ali
al cielo terso perché senza di te io son perso.
Nessuna legge, nessuna cancellata, nessun signore
e nessuna coltellata.
Nulla mi impedirà di amare la mia beata.
Assunto Malacrinò
MI GO EA ROGNA NERA
Vado casa pensando ai fioi
Che i sarà ea a pensare al papà.
Ma so na scorsa de banana so montà
Addio ea pignata de fasioi, sa rabaltà.
Gnanca qua ea gò intiuada. Se mese che
Me scade anca l’affitto. Me moger ea
ga impegnà
Il vestito ma ea giacca era tarmada
Cossa goio da ear
Orca ma megio moair
Go provà andar robar
Gnanca qua ea go intivà
Par on tocco de motor
Cossa goio da far
A Santa Maria Maggior
I me ga portà
Angelo Bovo
BUONA NOTTE
E…ARRIVEDERCI A DOMANI
Quanto costa la mia rabbia?
Quanto vale il tuo odio?
Quanto pesa il silenzio che ci divide ?
Goccia di acqua, che cade…
Fiamma di candela che a stento riluce…
Tesoro di ricordi ormai spenti…
Perché il sonno non mi cattura?
Perché il sonno non mi libera?
Perché io…?
Perché domani…?
Sete d’amore
sete d’aria pura o di un fiore,
ma dormi! … Che domani,
forse è un giorno migliore.
Ferdinando Cantini
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Poesia a Nicoletta
di Alessandro Quintavalle
Sono stanco del carcere, vorrei essere a casa. Lontano dalla voce di questi agenti e dall’odioso frastuono dei compagni detenuti.
Vorrei avere la libertà di passeggiare a mio piacere, non essere costretto a sentire il battito delle sbarre alla mattina.
Vorrei vedere te, Nicoletta, e il nostro Nickj gioire, ascoltare l’adorabile tua voce e il sorriso delle nostre bambine.
Il carcere non fa per me, così freddo, coperto di ingiustizia e di crudeltà, così diverso dal solare e gioioso splendore della nostra casa.
Tremo durante il giorno, tremo tutta la notte, mi sento spento e impaurito, un povero essere infelice. Ho nosta1gia di te, del gentile tuo sorriso con cui ti burlavi in tante ore lunghe e gioiose.
Oh dove sono le braccia della mia Nicoletta, adorata moglie, a proteggermi da ogni crudeltà e trarmi in salvo dai pericoli.
Non odo la tua voce, ricordo solo i tuoi occhi tristi in questo mio tormento.
O mia bella donna, se mai i tuoi occhi non mi avessero guardato non avrei potuto immaginare che un volto potesse essere così insuperabilmente attraente.
Semmai più potessi contemplare le sembianze del tuo viso, a me talmente caro, e la tua voce udire, per sempre tuttavia preserverei con gioia memoria di te.
Quella tua voce il cui magico tono può ridestare un’eco nel mio petto, creando sensazioni che, da sole, riescono a beatificare il mio spirito inconscio.
Quei tuoi occhi ridenti e luminosi, nei miei ricordi amo immutatamente, sopra quel tuo sorriso raggiante e gioioso che niente di più posso desiderare.
Ma lascia che io nutra la speranza da cui non posso scindermi. Il disprezzo può ferirmi, l’indifferenza gelarmi, ma la speranza abita sempre nel mio cuore.
E solo il cielo è in grado di rispondere alle mie mille e più preghiere, e disporre che il futuro ripaghi con gioia e sorrisi l’angoscia del passato e tutto il pianto.
Amo il momento silenzioso della notte perché sogni felici possono allora nascere, rivelando alla mia vista il tuo bellissimo viso.
Ascolto, non senza rotolarmi sull’anima, un diluvio di strane sensazioni, premonitrici di un più severo potere, mia messaggera!
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