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IL LAVORO QUALE VEICOLO DI REINSERIMENTO PER LA PERSONA DETENUTA

 

Una riflessione a tutto tondo, sulle necessità e problematiche che la questione lavoro per le persone condannate ha per il loro futuro, fatta da Livio Ferrari

 

Non si può affrontare la problematica “carcere e lavoro” senza tenere in gran conto alcuni fattori discriminatori che minano non poco i diversi tentativi e i progetti possibili. La condizione di detenuto è già di per sé discriminante e, nella nostra società evoluta, è ancora oggi posta in uno dei gradini più bassi della scala sociale. Questo stereotipo, che fa parte della nostra cultura, complica spesso, quando non li vanifica, i tentativi di reinserimento nella società di persone condannate attraverso percorsi lavorativi. Poi la mancata professionalità, che accompagna la vita di tante persone appartenenti al circuito penitenziario, e le criticità che vengono create, tante volte inconsapevolmente, dalle forze dell’ordine con controlli che mettono a rischio i posti di lavoro, fanno il resto. Se vogliamo affrontare con realismo la questione lavoro per le persone in esecuzione penale, dobbiamo sgombrare il campo da ogni prurito di idealismi e guardare dritta negli occhi la realtà!

Siamo tutti d’accordo, intendo gli operatori e chi conosce a fondo il mondo della reclusione, che i percorsi di reinserimento non possono prescindere dal lavoro, nella coscienza che è un elemento fondamentale per il dispiegarsi di una vita sociale dignitosa nella storia di ogni persona, ma dobbiamo avere coscienza che nella maggior parte dei casi il percorso sarà inficiato da quei condizionamenti detti. E’, inoltre, necessario modificare e aggiornare i progetti al tempo che stiamo vivendo, con una conoscenza adeguata del mondo del lavoro del terzo millennio, delle difficoltà e delle risorse che questo implica, orientando sempre più gli obiettivi e gli sforzi nel coinvolgimento del territorio, evitando di fermarsi all’idea di lavoro come è percepita nel classico rapporto “datore – dipendente”, per investire in progetti di lavoro esterno che facciano diventare attori protagonisti i soggetti pubblici e privati che hanno pertinenze in proposito e sono per questo tenuti a dare risposte in merito. Perché un altro elemento che non deve essere fuorviante rispetto alla realtà è che la stragrande parte dei progetti di lavoro nel corso dell’esecuzione penale vengono prodotti da cooperative ed imprese sociali. Il che significa efficacia quasi zero per il reinserimento effettivo, in quanto: finita la pena finisce il progetto e pure il lavoro. Gli sforzi e l’obbiettivo devono concentrarsi invece su una collocazione lavorativa che inizia nel corso della carcerazione e resti tale dopo la liberazione, e questo tipo di risposta la possiamo trovare solo dall’imprenditoria dell’industria, dell’artigianato, del commercio e dell’agricoltura.

Un altro aspetto che ha un peso non indifferente nella questione, dato dall’esperienza acquisita nel campo dell’esecuzione penale in più di trent’anni della legge 354/75, è di porre come condizione essenziale del modello lavorativo quella dell’investimento dell’esecuzione penale esterna, per la realizzazione dello stesso. I dati che da anni il volontariato e il privato sociale va diffondendo, circa l’efficacia del reinserimento attraverso le misure alternative in contrapposizione alla recidiva che connota chi la pena la sconta tutta dentro le mura, sono stati nell’ultimo anno confortati da quelli prodotti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che addirittura parla dell’80% sia di efficacia per le misure alternative e uguale, in negativo, per la recidiva intramuraria.

Queste risultanze ci motivano ancora di più ad incentrare gli sforzi, e perciò anche i progetti, per spogliare il carcere da una centralità che continua ad essere emarginata dal contesto urbano, lasciandolo sempre e solo chiuso in se stesso. Diventa, pertanto, necessario alimentare percorsi di riappropriazione di questo luogo del rimosso collettivo, anche e non solo in considerazione del fatto che nel territorio, indulto o meno, ritornano le persone condannate una volta scontata la pena.

Perché questi obiettivi trovino gambe diventa fondamentale interagire con operatori di un ipotizzabile trattamento esterno: assistenti sociali degli Enti locali, educatori e psicologi dei Sert, volontari, figure della cooperazione sociale, etc., oltre che agli operatori dell’Uepe, perché è oramai fin troppo chiaro che con i numeri che il carcere produce, cioè nel rapporto detenuti - operatori del trattamento intramurario, continuerà senza fine il fallimento di una risposta esauriente all’obiettivo del lavoro. Questa ultima affermazione non significa che gli educatori, assistenti sociali, psicologi, etc. che lavorano negli istituti penitenziari, nella maggior parte dei casi, non operino con impegno e coscienza, nonché capacità, ma è l’impianto generale che è dimostrato non funziona, non è infatti solo questione di un numero proporzionato di operatori del trattamento interno, il carcere così com’è stato concepito non è risolutivo per quanto si propone la Costituzione e la filosofia del recupero attraverso la pena.

Rimane comunque valido tuttora il concetto di “lavoro” come principale modalità di reinserimento e formula che possa modificare gli attuali numeri catastrofici della recidiva, che da soli danno una esauriente fotografia delle risposte lavorative che produce la nostra società intorno a questa problematica.

Parlare di lavoro, nel nostro caso, significa anche pensare in termine di investimenti economici, degli imprenditori e della politica, che sono il tallone d’Achille di molti progetti sociali e trovano sempre enormi difficoltà ad essere reperiti, quando non si tratti di operazioni palesemente remunerative solo per i datori di lavoro e di sfruttamento verso i carcerati. Anche in questo caso, come avviene in modo generalizzato nei confronti di tutti i soggetti più in difficoltà, non sono state predisposte socialmente modalità di tutela lavorativa e assimilazione ai lavoratori liberi, nonostante alcune normative che prevedono clausole particolari per i detenuti, come la legge Smuraglia.

È, pertanto, oltremodo necessario che tutti i soggetti che sono coinvolti, nei percorsi della giustizia in generale e del penitenziario in particolare, si ripensino nei diversi ruoli sinora esercitati, perché oramai cristallizzati a modelli dimostratisi poco validi anche nella società del novecento e assolutamente non più sostenuti dalla logica che li presupponeva.

Ripensarsi tutti in relazione a risposte che devono tenere più conto, come già ampiamente espresso, di alcuni fattori tra i quali l’investimento sul territorio, che significa minor galera per i soggetti condannati, per tutta quella serie di ragioni che passano attraverso la restituzione del danno e la funzione educativa della pena, e il coinvolgimento delle entità territoriali che sono risorse dalle quali non si può e non si deve prescindere, oltre ad un lavoro gomito a gomito con la popolazione stessa che può diventare una “palestra” di vita; maggiore tutela dei soggetti in difficoltà, che non significa né “poverino”, né scorciatoie o strade privilegiate a favore dei detenuti e a scapito degli altri componenti della collettività, ma una maggiore attenzione alla specificità delle singole persone in esecuzione penale e a progetti personalizzati a loro rivolti per non rischiare di vanificare gli investimenti che saranno prodotti; coinvolgimento degli attori economici, che vuol dire richiamare gli enti locali, le fondazioni bancarie, gli imprenditori, la cooperazione, etc. cioè coloro che hanno specificità e mezzi economici, ad investire sui progetti sociali che possono essere serbatoi di speranza in questo specifico ambito, perché senza adeguati investimenti economici tutti gli sforzi saranno prima o tardi vanificati.

Pertanto, per incidere veramente sui percorsi che toccano il senso della giustizia e della legalità, nonché per quanto abbiamo detto del lavoro, insomma sulle politiche sociali ed economiche tese a creare le condizioni di investimento per migliorare la qualità della vita della nostra società, è senza dubbio indispensabile che riesca il coinvolgimento e la partecipazione di tutti i rappresentanti del territorio, nel recepire le proposte e nell’impegno a supportare con i mezzi occorrenti le iniziative che verranno alimentate, dando quelle risposte concrete assolutamente indispensabili, che sono nella responsabilità di tutti e nessuno può chiamarsi fuori.

 

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