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FINISCE L’ESPERIENZA DEL SAT DI VENEZIA
La Casa Circondariale di Venezia Giudecca, ex Sat, sarà chiusa perché mancano i fondi per mettere a norma le cucine e perché sono pochi i detenuti ospitati.
L’istituto a custodia attenuata Sat Giudecca nasce nel 1992 e prevede al suo interno un percorso di recupero individualizzato per detenuti semiliberi e soggetti tossico e alcool dipendenti con una partecipazione costante e proficua del Ser.T. di Venezia, finalizzato alla costruzione di un progetto di reinclusione sociale dei soggetti; trattamento più efficace in un circuito differenziato che risponda maggiormente ad esigenze di prevenzione della recidiva e di attenzione alla sicurezza sociale spiega Mario Piranio di Fp Cisl.Le segreterie territoriali di Fp Cisl, Rdb-cub, Unsa Sag Veneto, Coordinamento Regionale penitenziario Cgil Veneto, Uspp Triveneto e Rsu degli Istituti penitenziari ritengono inverosimile questa decisione e l’hanno voluta rendere nota a cittadinanza, enti locali, uffici pubblici, associazioni di volontariato, cooperative sociali e ai volontari operanti nell’ambito della realtà penitenziaria veneziana. Hanno dichiarato che “La chiusura dell’istituto, anche se temporanea, non solo rappresenta il fallimento degli organi di gestione dell’Amministrazione Penitenziaria, in considerazione anche della collaborazione ricevuta dagli enti locali e del privato sociale di Venezia, ma anche una perdita per la città, per la cittadinanza, per la sicurezza della comunità esterna, che si troverà senza un circuito penitenziario che offra un adeguato quanto decantato reinserimento sociale”. Annunciato inaspettatamente e senza alcuna informazione preventiva (a detta dei Sindacati) dalla direzione degli istituti penitenziari di Venezia e dal provveditorato dell’amministrazione penitenziaria di Padova il 25 gennaio scorso, il provvedimento di chiusura è stato motivato con la mancanza di risorse finanziarie per eseguire i lavori di rimessa a norma delle cucine, dichiarate non idonee dal Magistrato alle Acque a luglio scorso, oltre che per l’esiguità dei detenuti ristretti in istituto e della scarsa valenza delle attività trattamentali che vi si svolgono. Motivazioni non condivise dai Sindacati che ritengono eventuali trasferimenti dei detenuti negli Istituti di Padova o Treviso disagevoli per le attività svolte dai detenuti e organizzate dalle cooperative sociali operative per lo più a Venezia centro storico e isole. Il
volontariato è amareggiato dall’incontrare in carcere per la
maggior parte persone che fanno fatica nella quotidianità (ex-psichiatrizzati,
senza dimora, ex-tossicodipendenti, etc.) e vedere che la risposta penale
nei loro riguardi continua senza risoluzioni di sorta. Sono esseri umani che
scontano periodi lunghissimi di reclusione per reati quali l’oltraggio
alle forze dell’ordine, risse, piccoli furtarelli, per quella impossibilità
di avere un comportamento sociale dentro la norma, per troppi anni di emarginazione
e devianza che li hanno irrimediabilmente leso nella loro integrità
psichica. Ma dobbiamo per sempre accanirci contro di loro, non possiamo pensare
ad interventi sociali che portino alla creazione di "luoghi di attenzione
e di passaggio" (li chiamerei) dove incontrare questi esseri umani e
dar loro "spazi di respiro" attraverso i quali evitare che possano
continuare a perpetrare azione negative nei riguardi della società
ma anche verso se stessi!Addirittura
si ritorna a parlare di nuove carceri, quando rispetto alle 207 attuali ne
basterebbe poco più di un quarto per le persone veramente pericolose
e per coloro che fanno parte della criminalità organizzata, le restanti
potrebbero essere tranquillamente dismesse. Anche la Commissione Pisapia,
sulla riforma del codice penale, non ha dato sinora segnali di una reale e
vera riduzione della pressione carceraria rispetto all’esecuzione penale.
L’art. 27 della Costituzione parla di pena rieducativa e non cita il
carcere per l’esecuzione, perciò non possiamo associarlo sempre
e comunque per tutti quei reati di cui si rendono protagonisti persone che
fanno fatica a vivere, a condurre una vita normale. Dobbiamo
invertire la rotta "americanizzante" intrapresa nell’ultimo
decennio, dopo la Simeoni-Saraceni, e ridare significato all’esistenza
di tante persone attraverso una riforma complessiva e al passo con i tempi
delle politiche sociali, che assieme al fallimento della 328 sono ancora organizzate
come trent’anni fa. E’
urgente anche investire economicamente, da parte dello Stato e dell’imprenditoria
in quelle parti d’Italia dove la povertà impera e la malavita
(mafia, andrangheta, camorra, sacra corona unita) spadroneggiano e creano
situazioni di illegalità in collegamento con pezzi della politica.
Ridurre la criminalità, togliere la manovalanza minorile dalle strade
della devianza, è un obiettivo primario che deve darsi questo Parlamento
attraverso azioni culturali ed economiche. Attenzione, però, che la
sicurezza non si determina con l’aumento delle forze dell’ordine
né con l’impiego dell’esercito, ma con la possibilità
per le persone che vivono nei territori italiani attualmente più degradati
di vivere dignitosamente e non dover soccombere ai ricatti e al degrado che
la povertà e l’emarginazione determina. C’è
un’infinità di problemi che l’universo della giustizia,
della pena e dell’esecuzione penale ha sommato in questi anni e sicuramente
non sarà possibile risolverli tutti in una volta, ma affrontarli sistematicamente
sì, questo è un obbligo oltre che un dovere.
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