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             CARCERE DURO ANCORA PIU' DURO

In un articolo di Patrizio Gonnella, presidente nazionale di Antigone, edito nel numero odierno del quotidiano “Italia Oggi”, una lucida riflessione su quanto comporterà il lodo Alfano e le proposte di legge che vogliono inasprire le pene e aumentare il carcere, sempre e solo per i più poveri.

 

 

 

 

 

CARCERE DURO ANCORA PIÙ DURO
di Patrizio Gonnella, da “Italia Oggi” del 24 luglio 2008

 

E’ alle porte un ulteriore irrigidimento del carcere duro, il regime disciplinato dall’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario. Ci aveva provato il precedente governo Prodi a modificarlo quando il 3 maggio 2007 l’allora ministro della giustizia Clemente Mastella, sentito in audizione formale dalla commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa, preannunciò un disegno di legge governativo diretto a inasprire i contenuti della legge. Il 41-bis, introdotto nel 1991 con il decreto Scotti-Martelli, ha visto la sua definitiva stabilizzazione nel 2002 con la legge n. 279. Nelle scorse settimane vi sono state molte polemiche sulla riduzione del numero dei detenuti soggetti a tale regime. Ciò sarebbe stato determinato dal forte incremento dei ricorsi, e, di conseguenza, dell’aumento degli annullamenti da parte della magistratura di sorveglianza dei provvedimenti applicativi del 41-bis. Alcuni dei punti presenti nel testo preannunciato dall’ex ministro Mastella sono oggi ricomparsi nel disegno di legge che ha come primo firmatario il senatore Carlo Vizzini, presidente della commissione affari costituzionali di Palazzo Madama. La proposta di modifica dell’attuale 41-bis si articola in tre punti:

  1. l’innalzamento della durata del regime speciale sino a tre anni (e mai inferiore a due), a loro volta prorogabili; attualmente il limite massimo è invece di due anni mentre il limite minimo è di un anno;
  2. l’inversione dell’onere della prova riguardante la cessazione del rapporto con l’organizzazione criminale di appartenenza facendola gravare sul detenuto, divenendo così una sorta di probatio diabolica; il detenuto deve specificatamente dimostrare che sia cessata la partecipazione o comunque ogni altra forma di collegamento o di contatto con il sodalizio criminoso di appartenenza ovvero ad altre organizzazioni criminali, terroristiche o eversive; oggi, viceversa, spetta all’amministrazione dimostrare la sussistenza del legame criminale con la cosca mafiosa;
  3. la previsione della competenza territoriale sui reclami al solo tribunale di sorveglianza presso la Corte di appellò di Roma, in modo, si afferma, da assicurare uniformità nell’applicazione della normativa ed evitare un’eccessiva eterogeneità di orientamenti giurisprudenziali da parte dei diversi tribunali.

Nei giorni immediatamente successivi all’annuncio del senatore Vizzini, in occasione del sedicesimo anniversario della morte di Paolo Borsellino, il ministro della giustizia Angelino Alfano, a sua volta, ha annunciato un inasprimento del 41-bis per via amministrativa con circolare del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Viene disposto lo spostamento dei boss sottoposti al regime del 41-bis in celle lontane tra loro, allo scopo di evitare qualsiasi possibile contatto vocale. Nell’ipotesi di inosservanza della disposizione suddetta i detenuti potranno essere assoggettati a procedimento disciplinare. Inoltre, viene ridotta ancora di più rispetto a oggi la possibilità di fare la socialità in gruppo, ossia di poter incontrare altri detenuti durante le ore di aria. La proposta di riforma troverà prevedibilmente la legittima resistenza dell’avvocatura e della magistratura di sorveglianza, la quale rischia di vedersi esautorate del tutto le proprie funzioni di controllo. Su questo tema sia le Camere penali sia l’Associazione nazionale magistrati sono intervenute a difesa delle prerogative di controllo dei giudici di sorveglianza. D’altronde, sia la Corte europea dei diritti umani sia la Corte costituzionale hanno condizionato il loro sì al regime speciale solo in quanto la legge sia capace di garantire un effettivo ed efficace controllo giu-risdizionale sui provvedimenti amministrativi di compressione dei diritti dei detenuti che vi sono sottoposti, altrimenti il rischio è la violazione dell’articolo 27 della Costituzione. Il numero totale dei detenuti assoggettati al regime duro oggi sfiora le 600 unità. Erano 678 nel dicembre del 2002, nei giorni in cui veniva modificato l’articolo 41-bis della legge penitenziaria.

 

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