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DETENUTI MALATI, LA CORTE DI STRASBURGO CONDANNA L'ITALIA

L’Italia, per la prima volta dal dopoguerra, è stata condannata per violazione diretta dell’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani del 1950 e riguarda il caso Scoppola, per il quale all’unanimità i giudici della Corte di Strasburgo hanno ritenuto che ci sia stato un trattamento inumano e degradante da parte delle autorità italiane.

Il collegio giudicante, presieduto da Françoise Tulkens (belga) e composto da Antonella Mularoni (sanmarinese), Vladimiro Zagrebelsky (italiano), Danute Jociene (lituano), Dragoljub Popovic (serbo), András Sajó (ungherese), Ishil Karakash (turco), ha dovuto affrontare una questione che sta a cavallo tra il diritto alla salute e la prevenzione della tortura.
Nel caso in questione le condizioni di detenzione di Franco Scoppola sono state ritenute incompatibili rispetto al suo gravissimo stato di salute. La Corte ha condannato il governo italiano a pagare un risarcimento di complessivi 10 mila euro, di cui la metà da versare direttamente al detenuto quale compenso per i danni morali subiti. Scoppola, 68 anni, attualmente è recluso nel carcere di Parma, dove vi è una sezione destinata ai paraplegici.
Nel gennaio del 2002 fu condannato dalla Corte di Assise di Roma per aver ucciso la moglie e ferito il figlio. Fatti accaduti nel 1999. Franco Scoppola aveva problemi di deambulazione dal lontano 1987. Dal dicembre del 2003 è stato costretto a vivere sulla sedia a rotelle. Nel carcere romano di Regina Coeli, dove fu inizialmente recluso, le barriere architettoniche erano tali da impedirgli ogni movimento. Senza successo chiese il trasferimento in un altro istituto della capitale. Una relazione medica del gennaio 2006 definiva lo stato di salute del ricorrente totalmente incompatibile con lo stato di detenzione.
I suoi avvocati chiesero il ricovero in un ospedale o la detenzione a casa affinché potesse essere assistito 24 ore su 24, essendo totalmente non autosufficiente. Come accade spesso alle persone anziane, qualche mese dopo, a causa di un movimento brusco, si ruppe un femore. Il 16 giugno 2006 la magistratura di sorveglianza gli concesse gli arresti domiciliari, affermando esplicitamente che la reclusione in carcere fosse una non necessaria violazione dei diritti umani. Pochi mesi dopo la stessa Corte rivide il suo precedente giudizio rimandandolo in carcere.
Il 29 dicembre del 2006 l’amministrazione penitenziaria decise di trasferirlo a Parma dove vi sono speciali facilitazioni per i detenuti disabili. Il provvedimento restò non eseguito, probabilmente per incuria, per nove lunghi mesi, ossia sino al 23 settembre 2007. Nei cinque anni di detenzione Franco Scoppola ha quindi vissuto senza potersi muovere, senza potersi fare una doccia, senza poter uscire di cella a causa delle insormontabili barriere architettoniche. In questo modo è stato costretto a stare a letto per tantissimo tempo. Secondo quanto ritenuto dai giudici europei tutto il periodo trascorso a Regina Coeli ha costituito sicuramente un trattamento inumano e degradante.
Ma secondo la Corte anche il periodo trascorso nella struttura parmense era da definirsi inaccettabile, in quanto le autorità italiane non sono riuscite a dimostrare quali fossero le migliori condizioni di detenzione assicurate a Scoppola a Parma. Secondo il collegio presieduto da Françoise Tulkens la condanna per violazione dell’articolo 3 della Convenzione del 1950 è determinata dalla condizione di ansia, inferiorità e umiliazione a cui il ricorrente è stato lungamente sottoposto.
L’Italia aveva tre mesi, scaduti da pochissimo, per poter ricorrere davanti alla Grande Camera della Corte. Questa opportunità non è stata presa in considerazione dal nostro governo. Solo in due casi nel passato l’Italia si era avvicinata a una condanna per maltrattamenti in carcere. I casi erano quelli di Benedetto Labita e Rosario Indelicato. Riguardavano violenze subite nel carcere di Pianosa, ora chiuso. In ambedue le circostanze i giudici hanno condannato l’Italia per non avere sufficientemente indagato sulle violenze subite.

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