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LO STATO FA PEGGIO DI ZIO PAPERONE

Un articolo di Milena Gabanelli nella rubrica “Punto critico” sul settimanale "iO" del 22 novembre, tocca un nervo scoperto nella gestione delle carceri italiane, quello della mancanza di volontà ad attuare politiche che rispettino la Costituzione e l'Ordinamento penitenziario e dare maggiori risorse all'area trattamentale.

L'articolo 27 della Costituzione recita: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». In questa logica nasce la figura dell'educatore penitenziario, uno specialista che svolge un ruolo chiave nel processo di sostegno umano, culturale e professionale ai detenuti, per recuperarli alla legalità. Compito dell'educatore è anche costruire alleanze e accordi per offrire ai detenuti opportunità di lavoro fuori dal carcere, una volta scontata la pena. E più lavoro per i detenuti significa meno recidiva, cioè più sicurezza sociale. Nel novembre del 2003, l'Amministrazione penitenziaria pubblica un bando di concorso per 397 educatori; si presentano in 60mila. Effettuata una prima selezione, solo 2.500 sostengono le prove scritte e, tra questi, 1.200 vengono ammessi alle prove orali. Dopo più di quattro anni e mezzo, nel luglio scorso, vengono resi noti i nomi dei 397 vincitori e dei circa 500 idonei. L'assunzione dovrebbe essere vicina, ma l’Amministrazione penitenziaria utilizza i fondi del 2008 per assumere una parte dei vincitori del concorso per contabili. Non solo: nel 2009 intende prima completare l'assunzione dei contabili, poi sarà la volta degli educatori penitenziari: ma solo un centinaio, cioè un quarto del previsto. In poche parole, mancano i fondi necessari ad attuare quanto sancito dalla Costituzione. Il rapporto numerico fra educatori e detenuti è di uno a 207; si può immaginare la qualità dei percorsi rieducativi e quanto sia improbabile la realizzazione di un qualunque progetto, con la conseguente inefficacia delle poche risorse investite. Sempre questione di soldi!
Eppure esiste un istituto, la Cassa delle ammende, che raccoglie i proventi derivanti dalle multe amministrative e dalla vendita di manifatture carcerarie e di corpi di reato. Denaro "prodotto" in qualche modo dai detenuti e proprio per i detenuti dovrebbe essere usato, per esempio per il loro reinserimento sociale o per assistere economicamente le loro famiglie. In realtà la Cassa rigurgita di denari non spesi: la Corte dei conti ha reso noto che, su un saldo contabile di quasi 140 milioni di euro, lo scorso maggio, circa 87 milioni sono stati reinvestiti in Bot semestrali. Il dato è sorprendente, in netta controtendenza rispetto alla misera situazione finanziaria del comparto giustizia in Italia. Situazione davvero vergognosa: a centinaia di persone viene negato un posto di lavoro cui hanno pieno diritto e si tiene in sospeso un investimento necessario, per mancanza di fondi, quando i fondi ci sono. Peggio di Zio Paperone: anche lui è avaro, però almeno i soldi sono suoi!

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