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IO NON RESPINGO, ACCOLGO

Respingendo i barconi dei migranti in Libia, approvando il “pacchetto sicurezza”, il governo e il parlamento italiano hanno stabilito che la cittadinanza, italiana o occidentale che sia, è il requisito indispensabile perché qualcuno sia trattato come essere umano, ed abbia dunque diritto a vivere, a essere curato e trattato come una persona. "Donne in nero" si pongono contro queste logiche di intolleranza, perché "non vogliono una società basata sull'odio e la paura, sicurezza è vivere in città e comunità accoglienti perché fondate sul rispetto, l'ascolto e il riconoscimento reciproco".

I migranti respinti, senza nemmeno mettere piede sul nostro sacro suolo, non sono – come vogliono farci credere – invasori di cui dobbiamo avere paura, ma persone in fuga dalla guerra, dagli stermini e dalla fame.

Impedendo loro persino di chiedere asilo e riconsegnandoli ai porti d'imbarco, l'Italia li condanna alla detenzione, alle angherie e, come è già documentato da anni, alla morte.

Rispediamo così nel nulla uomini, donne e bambini. Proprio come, a 10.000 chilometri di distanza, in nome della nostra sicurezza e dei nostri interessi, le nostre pallottole e le nostre bombe uccidono civili innocenti, bambini inclusi.

Nella nostra fortezza, norme discriminatorie tengono in riga, nell'ombra e nello sfruttamento, gli stranieri di cui abbiamo bisogno. Fuori, c'è l'espulsione preliminare, concordata con la Libia.

 

In questi giorni il leader libico Muammar Gheddafi è in Italia per parlare di affari, ma anche e soprattutto di immigrazione e di respingimenti in mare. Chi conosce quale destino attende gli emigranti e i rifugiati respinti al largo di Lampedusa e imprigionati nelle carceri libiche, non può rimanere indifferente e complice.

 

Di fronte a questa situazione ciascuna di noi, cittadine della Repubblica Italiana, dichiara l’intenzione di disobbedire a tali norme ogni qualvolta si presenterà l'occasione:

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