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IL PRINCIPIO AUTORITARIO DEL "PACCHETTO SICUREZZA"

Giuseppe Mosconi, docente di sociologia del diritto all'Università di Padova, fa un'analisi lucida e drammatica sul "pacchetto sicurezza", affrontando la questione anche dal versante delle titubanze, ambivalenze, trattative, reticenze ed ipocrisie che hanno accompagnato l’iter parlamentare.

 

Giustizia: il principio autoritario del "pacchetto" sulla sicurezza

di Giuseppe Mosconi (Ordinario di sociologia del diritto Università di Padova)


                              da il Mattino di Padova, 25 giugno 2009

 

Al di là della denuncia ampiamente condivisa del carattere xenofobo e autoritario del "pacchetto sicurezza" (l’ennesimo) passato alla Camera qualche tempo prima delle elezioni amministrative, vorrei affrontare la questione da un altro versante: quello delle titubanze, delle ambivalenze, delle trattative, delle reticenze, delle ipocrisie che hanno accompagnato l’iter parlamentare.

Così l’immigrazione clandestina diventa reato, ma si punisce "solo" con una pena pecuniaria, le ronde sono legali, ma "solo" se non armate, autorizzate dalle prefetture e per segnalare situazioni di pericolo e persino di "disagio sociale". Si revocano le disposizioni che autorizzavano medici e presidi a denunciare i clandestini (ma l’obbligo subdolamente resta, dato il carattere di reato assunto dalla irregolarità), però resta quella che impedisce ai bambini figli di irregolari di venire registrati all’anagrafe.

Per non parlare delle frequenti critiche sollevate verso diversi aspetti del provvedimento dal presidente della Camera, pur ex segretario del partito più di destra della coalizione, in nome dei diritti umani, non ultimo quello d’asilo. Il ricorso alla fiducia è stato evidentemente più un segno di debolezza e di contraddittorietà persino conflittuale, che di compattezza e univocità di orientamenti, particolarmente significativo perché avvenuto sui punti più emblematici del provvedimento, quelli sui quali si dovrebbe presumere una piena condivisione della maggioranza, come espressione del diffuso sentire dell’opinione pubblica che ad essa fa riferimento.

Se ciò è accaduto sono evidenti almeno due cose: le dialettiche e le ambivalenze sono il segno che tutta la trattativa è stata sequestrata dalle logiche di contrattazione e lottizzazione interne alla sfera della politica governativa; il contrasto di riferimenti testimonia della separatezza tra politica ed opinione pubblica, della difficoltà di praticare contenuti credibili di comunicazione e di polarizzare il consenso.

Se questo è il significato più sostanziale di quanto sta accadendo, desta particolare preoccupazione che, nei fatti e nella sostanza, al di sopra delle contraddizioni e dei conflitti, si sta affermando una linea univoca, particolarmente dura: quella che connette una più dura persecuzione penale contro la marginalità alla scelta di riempire senza limite le carceri che già scoppiano, alla generalizzazione di forme detentive prolungate senza alcuna garanzia processuale, nei Cie (i centri temporanei di permanenza dei clandestini sul territorio nazionale, annunciati dal ministro Maroni ma non ancora realizzati), al potere di limitazione della libertà dei singoli in pura via amministrativa, fino alla negazione dei diritti sostanziali e costituzionalmente tutelati all’asilo politico, alla tutela dei minori, alla salute, all’istruzione.

Se infatti queste ultime limitazioni sono formalmente rientrate, non si può ignorare né che, nella sostanza permangono, né soprattutto che sono state formulate e sostenute, a simbolo catalizzatore della cultura che sottende l’intera strategia. La persecuzione penale di un fenomeno complesso che, lungi dall’offendere un bene sostanziale condiviso, costituisce la normalità del processo migratorio e che crea più sviluppo che squilibrio la dice lunga sul processo di corruzione che, nelle nostre leggi, sostituisce la strumentalità delle suggestioni all’affermazione dei valori comuni. In conclusione penso di poter sostenere che il fatto che ciò si affermi come un processo necessitato per ricompattare il quadro di governo e sulla base di una presunzione assoluta di consenso da parte di un’opinione pubblica di fatto distante e incompresa è il nocciolo duro del nuovo autoritarismo.

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