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LE CARCERI DEL VENETO AFFOLLATE "OLTRE IL TOLLERABILE"

Esattamente tre anni fa, nel luglio del 2006, data l’insostenibile condizione di sovraffollamento delle carceri italiane, fu varato un provvedimento di indulto che ridusse il numero dei detenuti da 61mila a 38mila circa. Anche in Veneto ci fu un “alleggerimento” consistente degli istituti di pena, con la scarcerazione di quasi 1.200 detenuti che avevano una pena residua inferiore ai 3 anni: si passò da 2.842 presenze a 1.677.

Attualmente la situazione delle carceri venete è ancor più critica di quella precedente l’indulto. E non perché, come si crede, siano rientrati tutti quelli che hanno usufruito dell’indulto, in realtà la recidiva degli indultati è inferiore al 30 per cento. Ma il ricorso continuo al carcere, anche per reati per i quali sarebbero più utili pene diverse dalla galera, ha portato a una situazione ingestibile:  i detenuti sono 3.151, a fronte di 1.877 posti “regolamentari” e di una capienza massima “tollerabile” stabilita in 2.883 presenze.
Il sistema penitenziario regionale è oggi palesemente fuori-legge: la mancanza di spazio nelle celle rappresenta un “trattamento inumano e degradante”, come recentemente stabilito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Sentenza Sulejmanovic contro Italia, del 16 luglio 2009).
Secondo la Corte di Strasburgo le celle devono avere almeno 7 mq di spazio per il primo detenuto, più 4 mq per ogni ulteriore detenuto presente. Il detenuto Sulejmanovic ha trascorso 21 mesi in 2,7 mq di spazio-cella (era con altri 5 detenuti in un cellone di 16 mq) e per questo il Ministero della Giustizia è stato condannato a risarcirlo - con 1.000 euro - per i “danni morali” subiti.
A titolo di esempio, nelle celle cosiddette “singole” (che misurano 11 mq, bagno compreso) non possono essere allocati più di 2 detenuti, altrimenti le condizioni di vivibilità entrano in contrasto con la Convenzione dei Diritti dell’Uomo (Art. 3 - Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti), oltre che con la nostra Costituzione e la Legge Penitenziaria.
Nel Veneto, il limite “tollerabile” delle presenze è stato oltrepassato in tutte le carceri, ad eccezione dell’Istituto Penale Femminile della Giudecca (Ve) e della Casa di Reclusione di Padova, che però è ai limiti della vivibilità, con celle singole dove già vivono in due, e ora hanno cominciato ad aggiungere la terza branda. E quindi sono oltre 2.000 i detenuti che potrebbero “fare causa” al Ministero della Giustizia, chiedendo di essere risarciti per l’indebita afflizione “supplementare” che stanno subendo a causa del sovraffollamento.
Come se questo non bastasse, nelle carceri regionali si registra anche una pesante carenza negli organici del personale: mancano ben 389 operatori della Polizia penitenziaria e 165 tra operatori del trattamento e amministrativi, quindi la sicurezza degli Istituti e le attività volte alla “rieducazione” dei detenuti sono tutt’altro che garantite.
I detenuti in attesa di giudizio sono 1.706, mentre 1.445 stanno espiando una condanna “definitiva”. Di questi 447 hanno un residuo pena inferiore ad 1 anno e 934 compreso entro i 3 anni (parecchi potrebbero scontare la pena in affidamento al servizio sociale). I detenuti stranieri sono 1.834, i tossicodipendenti 992 (di cui 104 in trattamento metadonico).
Nelle carceri della Regione 599 (19% del totale) detenuti svolgono una attività lavorativa, ma solo 273 di loro sono impegnati nelle lavorazioni industriali, artigianali, etc., alle dipendenze di cooperative e ditte private. I rimanenti 326 svolgono “lavori domestici” alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, a turni e con orari ridotti al minimo.
I detenuti ammessi al lavoro esterno (art. 21 O.P) sono 43, di cui 13 alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria (addetti, solitamente,  a servizi di pulizia esterni al carcere) e 30 alle dipendenze di cooperative, enti e aziende. I semiliberi sono 46, di cui 32 italiani e 14 stranieri. Troppo pochi!
Servono più misure alternative! Perché le misure alternative, ormai è dimostrato, creano sicurezza molto più del carcere. Ed è proprio il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria che auspica un ricorso più deciso alle misure alternative, la stessa cosa chiedono i sindacati degli agenti di Polizia penitenziaria. È importante allora investire in percorsi graduali di reinserimento, piuttosto che in carceri-parcheggio dove la gente staziona senza far niente e non può che uscire più pericolosa di quando è entrata.
(da Ristretti Orizzonti di Padova)

Le carceri che noi abbiamo sono un’offesa alla dignità delle persone
Il punto di vista del segretario nazionale del Sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari, (SI.DI.PE.) Enrico Sbriglia, direttore del carcere di Trieste.
Il sovraffollamento, dal mio punto di vista di direttore penitenziario, non può essere affrontato esclusivamente immaginando la realizzazione di nuove carceri, anche se quello delle nuove carceri è un problema che esiste, perché le carceri che noi abbiamo secondo me sono indegne, sono un’offesa alla dignità degli operatori penitenziari e delle persone detenute. Sono un’offesa per le persone che accedono in istituto per parlare con i propri cari,  un’offesa nei confronti dei magistrati che vengono a fare i loro atti giudiziari dentro le carceri. Sono un’offesa per chiunque ha a che fare con questo contesto, che non si mostra all’altezza di proporre una situazione civile, investendo seriamente e nel rispetto dei bisogni fondamentali di una persona, che sono aria, spazi minimi decenti, pulizia dappertutto, estetica dell'arredamento; architettura. Una situazione civile che deve riguardare tutti i luoghi destinati a contenere, contemporaneamente, i detenuti e quanti, a diverso titolo, sono gli operatori del mondo penitenziario.
Noi  al detenuto sottraiamo la libertà, il patto deve essere questo: ti togliamo un pezzo di libertà, non possiamo toglierti anche la dignità.
Una volta, scherzando con dei colleghi, ma non è neppure tanto uno scherzo, ho detto: pensate un attimo se fuori dal carcere mettessimo un tabellone luminoso, come quelli che stanno sull’autostrada, dove da una parte appare il numero delle persone detenute presenti quel giorno, per esempio oggi 250, dall’altra quanto costa ogni giorno quella struttura, ad esempio 250 persone per circa 200 euro. Per cui un cittadino passa e ha la possibilità di capire quante risorse stiamo spendendo in questa giornata per fare sicurezza.
E poi invitiamo il cittadino a domandarsi se sia ragionevole, per esempio, condannare con una pena di un anno o più di carcerazione il tossicodipendente che ha scippato la pensionata portandole via la borsa e rubandole i  400 euro di pensione, e magari facendola anche cadere. Allora quante badanti avremmo potute assicurare a quella donna con i soldi che ogni giorno spendiamo per quel detenuto, quante cure mediche le sarebbero state assicurate?
Il paradosso invece è che oltre a trovarci con la persona anziana ferita, violata, mortificata, noi continuiamo nell’opera di mortificazione dirottando quelle poche risorse che abbiamo per tenere in carcere l’autore del reato. Non sarebbe meglio se trovassimo misure alternative, che consentano a quella persona che ha commesso quel reato di risarcire effettivamente la persona che il reato l’ha subito? se riuscissimo a trovare un rimedio che consenta al ragazzo autore dello scippo di risarcire in termini seri la collettività, e nel contempo  lo allontani da un contesto penitenziario, dove semmai finirebbe per specializzarsi in altri reati? Mi pare che sia questa la sicurezza che tutti quanti dobbiamo cercare, e non altro.
Però mi rendo conto che fare questi ragionamenti non è sempre agevole, soprattutto perché mentre si informa dettagliatamente sul reato che ha subito la pensionata, poco si dice su quanto costerà, allo Stato e alla comunità, tenere in carcere una persona, per poi metterla fuori in condizioni peggiori di quando è entrata.

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