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OPERAZIONE COLOMBA: BIENVENIDO EN COLOMBIA!

Una nostra volontaria, Angela Osti di Rovigo, è impegnata in Colombia all’interno della missione di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII denominata “Operazione Colomba”. In questo spazio il reportage che ci invia di ciò che accade e non è conosciuto, ma che riteniamo debba emergere e, in questo caso, attraverso la sua testimonianza.

(http://www.operazionecolomba.com/index.php)

 

  1. Bogotà è una città strana, è una capitale, quindi c'è di tutto, dal ricco, al mendicante per strada (e quanti ce ne sono), ai tantissimi venditori ambulanti con i loro carretti. La città è a circa 2.600 metri di altitudine, quindi è un sali-scendi di strade, tutte perpendicolari tra loro, a formare una grande scacchiera, percorsa da innumerevoli taxi. Si passa dalla zona ordinata e tranquilla attorno ai palazzi presidenziali e parlamentari, piena di poliziotti, alla strada centrale super affollata. Puoi trovare veramente di tutto, soprattutto, ormai, tanto occidente.
    Dopo due giorni trascorsi a Bogotà per vari incontri, prima di giungere alla Comunità di Pace, ci siamo fermate ad Apartadò (capitale del Distretto di Antioquia, dove si trova la Comunità). Non riuscivo ancora a vedere la Colombia, persino la spesa l'abbiamo fatta in un supermercato simil centro commerciale. Però, uscendo dal centro, ecco il mercato locale, disordinato, sporco, pieno di gente, di odori, tutto accatastato. Finalmente! Ecco un po' di vita locale, più lenta, ma non troppo, più incasinata e approssimativa, senza quella ossessionante schematizzazione, precisione, calcolo, occidentali.
    La distanza da Bogotà non è poi molta, ma giungiamo ad Apartadò dopo aver preso un taxi, un aereo, un autobus, un altro aereo, ed infine un altro taxi. Lo spostamento ci ha richiesto quasi 12 ore tra viaggio ed attese. Gli spostamenti non sono facili, soprattutto non si è mai sicuri che il mezzo di trasporto ci sia, in particolare l'aereo, e a che ora effettivamente parta. Spesso gli aerei per i voli interni restano bloccati a causa della pioggia, quasi quotidiana in questa zona della Colombia (siamo nella regione Caraibica).
    Il 3 dicembre raggiungiamo la Comunità di Pace di San Josè de Apartadò, situata a San Josesito, dopo un viaggio con il chivero (jeep). E che viaggio! Le strade sono ovviamente sconnesse, terra con pozzanghere d'acqua piovana che sembrano piscine. Foresta ovunque, montagne in distanza, pioggia, caldo, afa. Lungo la via si incontrano diverse veredas (villaggi), alcune case isolate, molti bambini, ragazzi, adulti per strada, al lavoro o che giocano. I bambini di solito vanno a scuola, anche se penso sia difficile per loro raggiungerla a piedi lungo quei sentieri. Gli uomini sono “armati” di macete per farsi spazio nella foresta. Molti animali, galline, cavalli, muli, cani, gatti, mucche, maiali. E molti anche i soldati, giovanissimi, veri e propri ragazzini. Perquisiscono gli uomini a bordo della jeep (solo gli uomini, e poi controllano le borse che portiamo tastandole per fuori... che controlli approssimativi... potrei trasportare di tutto, ma tanto non mi perquisirebbero perché sono una donna). Lungo la strada si incontrano veramente tanti soldati, e chissà quanti altri sono nascosti nel folto bosco. Solo un pensiero: non ci fosse un conflitto, non avrebbero motivo di esserci, e così tanti poi. Il conflitto non si vede, non se ne sente parlare, eppure c'è.
    E questo è il motivo che finalmente ci porta alla Comunità di Pace. E subito un gruppo di bambini corre a salutarci, abbracciarci, baciarci, soprattutto si caricano dei nostri bagagli. E già mi sento meglio, perché almeno capisco quel che dicono e qualcosa riesco a comunicare pure io. Nei pochi passi per raggiungere la casa, molte sono le soste per salutare i vari abitanti che si incontrano. Tutti stringono la mano e danno un bacio (così si usa qui), alcuni abbracciano, sia uomini adulti, sia ragazzi, sia bambini. In fondo i colombiani sono latini, l'accoglienza non poteva che essere calorosa.
    La casa è molto molto carina, soprattutto sopo una giornata passata a pulirla dalle ragnatele con ragni annessi, escrementi di topi, di jecki, e di chissà quali altri animali, ma infine, dopo una doccia fredda (pensavate ci fosse acqua calda?) il fisico si ritempra. Poi mi sembra ci sia tutto, l'acqua è abbondante, vista la zona geografica, e c'è pure la luce.
    Ah per casa intendo baracca ovviamente. Assi di legno messi insieme (da un vicino di casa che l'ha costruita) che lasciano passare, nelle larghe fessure, di tutto un po'.  E proprio questa è la bellezza della casa, perché così lo sguardo non è chiuso, ma da ogni fessura si può ammirare un paesaggio mai visto.

  2. Ci sono tantissimi bambini in Comunità, qui si figlia molto, senza necessità di essere sposati, di solito l'uomo ha molti figli con diverse donne, le quali cominciano già dall'adolescenza ad avere figli. I bambini non hanno tanto di che vivere, non muoiono di fame, ma neanche si sfamano a volontà, soprattutto la dieta non è per nulla variegata e sostanziosa: riso, mais, fagioli. Al mattino, quando ne hanno voglia, vanno a scuola nella Comunità, almeno è garantito loro il pranzo. Al pomeriggio vengono da noi per disegnare, colorare, fare merenda, perché sanno che qui trovano la porta aperta e qualcuno che passa un po' di tempo con loro. Spesso infatti stanno “per strada”, che in questo caso è un giro per la Comunità, ma se fossimo in città sarebbero probabilmente bambini di strada (come se ne vedono molti ad Apartadò, dove ti assaltano se stai pranzando, divorando quello che presenti loro oppure quello che riescono a trovare nel pattume), difatti non tutti hanno i genitori vicino perché se il papà sta già con un'altra donna, abita altrove, e se la mamma sta con un altro uomo o si è trasferita in città per lavoro o chissà che altro, i figli sono lasciati soli per diversi periodi, magari con qualche parente o vicino di casa, che non sempre riesce ad occuparsi di loro, se non nel limite della fornitura di cibo, ma si sa che a un bambino per crescere non serve solo “materiale”. In ogni caso l'attività di sostegno sociale non ci compete, l'attività principale è l'accompagnamento dei contadini nelle loro terre, nelle loro case più lontane, cercando di garantire loro il rientro momentaneo o permanente alle loro case e terre senza troppe molestie da parte di mil, para, guerr.

  3. L'uomo è “macho” in Colombia. Tornando da una vereda vicina, con la pioggia che veniva e il fiume che si era ingrossato, siamo stati “scortati” da un muchacho a cavallo. In effetti, anche negli accompagnamenti che la Comunità ci richiede, non siamo noi a scortare, ma i campesinos scortano noi. Sarebbe impossibile affrontare la foresta senza di loro che conoscono i sentieri e li aprono a colpi di macete, che sanno condurre cavalli e muli, guadare fiumi e salire e scendere velocemente le alture. Noi siamo “usati” per evitare o contenere le minacce dei para, mil, guerr.
    In questa occasione il muchacho stava dietro a noi, ma tre volte abbiamo dovuto attraversare il fiume dove era piuttosto alto, ma soprattutto la corrente forte. L'uomo, che è appunto machiste, subito si è offerto di farci passare il fiume col suo cavallo, facendo avanti e indietro per trasportarci tutti tre. Il primo passaggio l'ho fatto col muchacho dietro a me che teneva le redini (e che muchacho!), il secondo ero a cavallo da sola, e il terzo di nuovo col muchacho. È incredibile l'accoglienza e l'ospitalità di molti popoli, come si prendono cura delle persone estranee al posto, senza aspettarsi nessuna ricompensa.
    Già quando ci eravamo incamminati per tornare a casa, un paio di campesinos ci avevano fermati raccomandandoci di non andare perché il fiume era molto alto, e che, se avessimo deciso di andare, ci avrebbero mandato qualcuno per aiutarci. Abbiamo così atteso che la pioggia diminuisse al riparo di una casa un po' isolata, dove non ci sarebbe mancato comunque nulla anche se fossimo rimasti per più tempo, dal momento che la padrona di casa stava già per preparare il riso dopo averci offerto le banane (e sempre quel poco che hanno lo condividono). Poi il passaggio del muchacho, diretto nella nostra direzione, ci ha permesso di ripartire.

  4. Per una decina di giorni, fino a Natale, siamo stati in accompagnamento per due Veredas, a circa 7-8 ore di distanza da qui (a piedi). È stato un accompagnamento “emozionale”, di semplice condivisione quotidiana. Dormendo in amaca, svegliandosi col canto del gallo e la luce del sole, lavorando in casa, sgranando pannocchie e fagioli, molando il mais per fare l'arepa. Condividendo gli spazi, piccoli ma incredibilmente spaziosi, in cui si mangiava anche in 20, e a qualsiasi ora un pentolone di zuppa era pronto sul fuoco.Da una vereda un po' più lontana ci siamo poi spostati in un'altra in cui si aspettava l'arrivo di molta gente per le festività natalizie (anche se in realtà non si è proprio festeggiato Natale, si è fatta la celebrazione del battesimo il 24 e poi dalla sera alla mattina seguente musica e balli). In questa vereda si era molto organizzati, dall'alba al tramonto lavoro comunitario, gli uomini ai campi, a tagliare legna, a costruire nuove strutture, le donne in cucina. Sembrava una delle nostre fiere paesane. Per un migliore resoconto vi rimando al report dalla Colombia che a breve uscirà sul sito di Operazione Colomba (sulla sinistra nell'home page c'è la sezione report, a breve ci sarà quello del mese di dicembre) con tanto di foto (nella sezione foto).Vi rendo partecipi di un paragrafo sulla stigmatizzazione dello Stato colombiano contro la Comunità di Pace di San Josè de Apartadò:“La sfiducia della popolazione e il conseguente rifiuto alla collaborazione con gli attori armati istituzionali del conflitto, crea sospetti da parte dei membri delle forze di sicurezza nei confronti della popolazione campesina che, generalmente, viene sospettata di essere collaborazionista degli attori armati illegali. Si produce, quindi, un nuovo circolo vizioso. La popolazione, agli occhi di una parte significativa dei membri delle forze di sicurezza, dovrebbe prestare la sua collaborazione agli attori legali, e le formule o gli intenti di neutralità nel conflitto sono percepite come atti di opposizione nei confronti delle istituzioni armate legali. Da qui si giunge alla generica estensione di una relazione di collaborazionismo con la guerriglia e, pertanto, il sospetto relativo a un numero indeterminato di persone solo per il fatto che appartengono alla Comunità di Pace o perché hanno stabilito la loro residenza in zona di conflitto”.In sintesi...l'idea dell'esercito è che chi non collabora è guerrigliero...da parte sua però l'esercito utilizza i paramilitari per minacciare e fare violenza sui campesinos, per non parlare poi di tutta la corruzione legata al traffico di coca, allo sfollamento forzato per avere la terra, ecc., ecc.
  5. Che cos'è la neutralità? Si può essere neutrali? La Comunità di pace di S. Josè de Apartadò ha scelto di essere neutrale rispetto alle parti in conflitto (militari, paramilitari, guerriglieri), ma a che prezzo!

    Questa neutralità non è indifferenza, anzi, è pieno attivismo. È una lotta, una lotta come preparazione a morire. A morire per la verità e per la giustizia, perché la persecuzione nei confronti della comunità è forte, in particolare da parte del governo.

    Da più di dieci anni è sorta la Comunità di pace per resistere a questo conflitto politico, economico, di controllo della terra e delle tantissime risorse naturali e fonti energetiche... a tutti gli effetti un conflitto internazionale. È una resistenza nonviolenta, ma non solo senza armi, è anche una lotta per essere neutrali, che significa anche rifiutare aiuti governativi, spesso elargiti solo per coprire le mancanze del sistema pubblico. Neutralità significa anche denunciare tutti i crimini subiti da parte del governo, dei paramilitari o della guerriglia. È per questo che è molto scomoda al governo, la cui strategia sembra essere passata dalla violenza (massacri 2005) alla produzione di pesanti diffamazioni ai danni della Comunità e dei suoi membri, presentandoli sui canali mondiali come guerriglieri o miliziani, puntando così a fare sorgere dubbi tra i colombiani e gli internazionali sulla credibilità degli appartenenti alla Comunità.

    La scelta di costituirsi come Comunità è particolare, si fonda sull'idea comunista (così antipatica ai governi di estrema destra), nel senso di unità, di condivisione del lavoro, delle risorse, dei prodotti.

    Ci sono difatti gruppi di lavoro che si occupano dei campi di proprietà della Comunità o di alcuni membri, che poi suddividono il raccolto in base alle esigenze delle diverse famiglie; o gruppi di lavoro che si occupano della cura delle bestie; o dell'edilizia nella Comunità. È, inoltre, previsto un giorno settimanale di lavoro comunitario in cui tutti i membri lavorano per la Comunità. È un'organizzazione che vuole resistere e sopravvivere da sola, con l'aiuto della comunità internazionale, con la protezione della Corte Interamericana per i diritti umani, ma negando qualsiasi collaborazione con il governo, in particolare con gli attori armati legali e non.

    Nonostante questo molti sono i crimini compiuti dallo stesso ai danni della Comunità: massacri, sfollamenti forzati, sparizioni, montaggi giudiziali, diffamazioni, blocchi economici.

    Si può parlare di qualche speranza? Forse è la speranza di cui parla il Padre gesuita che segue la Comunità, ossia la consapevolezza che si sta facendo la cosa giusta. Anche se questa lotta è una preparazione a morire, questa resistenza nonviolenta e di neutralità è la cosa giusta da fare. E questa è anche la speranza cristiana... alla fine Gesù è morto, quindi si mettono in conto sofferenza, perdita, morte, anche fallimento, ma è giusto continuare a lottare.

    Come pure è giusto continuare a denunciare. Jean Goss in “Fede e nonviolenza” afferma che “Se il cristiano non può uccidere, di fronte alle violenze di ogni genere che in mille modi uccidono l'uomo, egli può per prima cosa denunciare tutte le violenze che opprimono, sfruttano, schiacciano e uccidono l'uomo e, nello stesso tempo, attaccare con molta forza la coscienza di tutti coloro che di tali violenze sono responsabili. Quindi può rifiutarsi di collaborare a qualsiasi violenza, a ogni genere di ingiustizia ed evitare, col silenzio, di esserne complice. Infine, può disobbedire alle leggi ingiuste: nessun uomo, e a maggior ragione nessun cristiano, deve obbedire a una legge ingiusta. Se tutti i cristiani, e domani tutti gli uomini onesti, incuranti delle conseguenze che dovranno subire, intraprenderanno coraggiosamente questa lotta e realizzeranno con semplicità e regolarità queste tre azioni contro le ingiustizie, è impossibile che queste ingiustizie continuino. Non c'è governo, sistema ingiusto, o tiranno che possano sopravvivere di fronte a una tale lotta!”.

    E questa è un richiamo anche per la comunità internazionale e per gli internazionali che accompagnano la Comunità di pace, perché le denunce salvano la Comunità, in quanto attirano l'attenzione della comunità internazionale ai danni del governo. Perché è più importante salvare la propria presenza qui, quindi tacere per evitare di compromettersi con la forza pubblica o con il governo e di essere allontanati dal Paese o salvare la vita a qualcuno denunciando una minaccia, un montaggio o altro, magari per anticipare la preparazione di un falso positivo? Per la Comunità è importante la denuncia, in particolare la denuncia contro il Governo per crimini di lesa umanità.

     

Ho trascorso due mesi in Colombia, condividendo le giornate con i membri della Comunità di pace di San Josè de Apartadò e con Monica, Oreste, Alice, Andrea. Due mesi sono proprio pochi! Dopo il primo mese si comincia a capire come muoversi e ad essere autonomi. Ed è già il momento di andarsene...

Purtroppo quello che si riesce a dare in due mesi è veramente poco, però quello che si riceve dalle persone incontrate e conosciute è tanto, e non sono discorsi retorici, ma è così veramente.

In particolare mi colpiscono sempre l'accoglienza e l'ospitalità di molti popoli, come si prendono cura delle persone estranee al posto, senza aspettarsi nessuna ricompensa, e come ti fanno sentire parte di loro. Mi resta la certezza che questo breve tratto di vita trascorso qui non è stato inutile! La Comunità ha bisogno degli internazionali per essere certa che c'è ancora attenzione su di essa... e io so che in ogni parte del mondo ci si può sentire a casa, basta volerlo.

Grazie a Operazione Colomba per questa seconda opportunità di spendere un po' della mia vita con voi (dopo tre mesi in Palestina), grazie a tutte le Colombe che hanno camminato con me in questi mesi, grazie alle persone che mi hanno accolta nella loro casa e nella loro causa con fiducia.

 

Angela

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