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GIUSTIZIA: LIVIO FERRARI; IL SISTEMA PENITENZIARIO HA FALLITO, E' TEMPO DI CAMBIARE

L'agenzia sociale di stampa Redattore Sociale ha pubblicato un'intervista con Livio Ferrari, Garante delle persone private della libertà del Comune di Rovigo, prendendo spunto dal suo libro da poco in libreria "Di giustizia e non di vendetta".

 

da Redattore Sociale del 21 gennaio 2011

 

“Di giustizia e non di vendetta. L’incontro con esistente carcerate” è il nuovo libro di Livio Ferrari, Garante dei detenuti di Rovigo ed esperto di problematiche penitenziarie, che racconta frammenti di vite ristrette, tocca nervi scoperti e lancia proposte.

È una dura critica al sistema carcerario italiano definito “fallimentare” quella lanciata da Livio Ferrari, garante dei detenuti di Rovigo e una vita dedicata al volontariato carcerario, che ha dato alle stampe il suo secondo libro. Dopo “In carcere, scomodi”, ecco “Di giustizia e non di vendetta. L’incontro con esistenze carcerate” (edizioni Gruppo Abele): un libro per parlare dell’incontro a tutto tondo con la persona detenuta, per denunciare un sistema che “non considera persone i ristretti” e per lanciare delle proposte concrete.

 

Ferrari, dopo un libro sul volontariato di giustizia ora una pubblicazione di respiro un po' più ampio…

È un libro complesso che tocca anche la questione del volontariato, il suo ruolo sedativo, le sue contraddizioni ma anche la sua importanza. Parla delle storie di tante persone recluse che ho incontrato, persone che ce l’hanno fatta, che hanno fallito, che ancora stanno camminando senza aver trovato una soluzione a tutto. Il libro offre delle riflessioni anche sul futuro di questa società e alla fine - avendo io un’idea abbastanza precisa del fallimento di questo sistema dal punto di vista giudiziario e, soprattutto, dell’esecuzione penale - lancia anche delle proposte.

 

Proposte di che tipo?

Una, ad esempio, per gli stranieri autori di reato. In questo momento noi li penalizziamo doppiamente: con la legge Bossi-Fini e con l’espulsione alla fine della pena. Molti di loro hanno già un percorso lungo nel nostro Paese, hanno cementato dei rapporti, degli affetti, hanno una famiglia e dei figli e sono incappati in un errore di percorso, come molti italiani. Eppure, nonostante loro percorrano tutto quanto prevede l’ordinamento giudiziario, alla fine non hanno gli stessi benefici. Invece un’occasione nuova spetta anche a loro.

 

La giustizia è un tema di grande attualità di questi tempi, se ne discute molto…

Purtroppo se ne discute e basta. Il dramma è che non ci si muove dagli slogan, dalle ipotesi e purtroppo ogni giorno aumentano i morti, i suicidi soprattutto di ragazzi giovani. Questo lascia esterrefatti perché quando succede che ventenni con davanti pochi mesi o un anno di carcere si tolgono la vita, uno è costretto a chiedersi cosa non funziona, non soltanto per quanto riguarda la pena comminata, ma anche l’esecuzione penale e le persone che in questo momento lavorano negli istituti penitenziari. Questi ultimi, sotto organico, sono un po’ alla frutta dal punto di vista della loro capacità umana di far fronte a una situazione di emergenza di questo tipo. Continuare così significa far saltare dal punto di vista psico-fisico anche le persone che lavorano nel carcere.

 

A Regioni e Ulss non importa niente dei detenuti

Mentre nelle carceri italiane si continua a morire e ad ammalarsi, il Garante dei detenuti di Rovigo Livio Ferrari (in libreria con il secondo libro “Di giustizia e non di vendetta”, ed. Gruppo Abele) accusa: “Della salute dei detenuti non importa niente a nessuno e tragico è stato il passaggio di competenze a Regioni e Asl”. E sul fronte dell’assistenza sociale avverte che le cose non vanno meglio, mettendo in luce una magagna tutta veneta. “Il passaggio della sanità del carcere dal Ministero della Giustizia al Sistema sanitario nazionale si è rivelato un fallimento - commenta. Il Ministero almeno dava ausili, medicine e quant’altro, anche con tutte le limitazioni che aveva. Invece adesso non si dà più niente. Le Regioni e le Asl hanno tagliato tutto e continuano a tagliare. Non gliene importa assolutamente niente, questo va detto con forza: non è che non ce la fanno, non sono per niente interessati a coloro che sono in carcere”.

Ferrari annuncia poi di aver riscontrato un meccanismo “inverosimile” che ostacola l’accesso dei detenuti all’assistenza sociale. “In qualità di garante ho inviato una lettera al Dap perché sto assistendo a una cosa assurda - spiega: in tutta Italia il cittadino che viene arrestato e perde la residenza nel luogo di origine, in base al Dpr dell’89 sull’anagrafe, ha diritto alla residenza nel luogo in cui sconta la pena, potendo dunque accedere all’assistenza sociale di quel Comune.

In Veneto, invece, la Regione ha inviato una lettera ai Comuni dicendo che questo non vale più: vale sì il Dpr, ma vale anche un articolo abrogativo della 268 secondo cui per quanto riguarda l’assistenza sociale tutto questo non è obbligatorio”. È dura l’accusa di Ferrari: “Nel Veneto i cittadini in carcere non sono più cittadini come gli altri, italiani o stranieri che siano, ma sono cittadini di un altro pianeta”. Da un punto di vista pratico, in questa situazione i detenuti devono riuscire a recuperare l’ultimo domicilio per accedere all’assistenza e se, per caso, neanche lì sono riconosciuti devono risalire al Comune di nascita. Ciò ci fa capire quanto in basso siamo caduti a livello di diritti di queste persone che vengono sempre più dimenticate”.

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