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REPORTAGE DALLA SIERRA TARAHUMARA IN MESSICO

Una nostra volontaria, Angela Osti di Rovigo, è impegnata in una missione di pace in Messico nella Sierra Tarahumara, organizzata dalla Fondazione Fratelli Dimenticati di cittadella, un organismo che promuove soprattutto progetti di adozione a distanza in India, Nepal, Messico, Nicaragua, Guatemala e di sostegno ed inserimento scolastico ed educativo. Ci ha inviato un reportage di ciò che accade e non è conosciuto, ma che riteniamo debba emergere e, in questo caso, attraverso la sua testimonianza.

(http://www.operazionecolomba.com/index.php)

 

28 marzo 2011

Come si fermano, con gli occhi sgranati, a guardare l’autobus che arriva a Norogachi, scarica gente, ne carica altra, e se ne riparte.
Come amano stare all’aria aperta, ora non fa freddo, ma anche quando fa freddo è preferibile stare fuori piuttosto che dentro. Il buio non spaventa, sono abituate perché in casa non hanno luce, quindi si puó giocare, lavare, bagnarsi al buio, senza problemi.
E la corsa per andare a bagnarsi e a lavare i vestiti al fiume. In questo periodo di forte siccitá l’acqua nelle case scarseggia (e anche qui nell’internato), quindi è meglio camminare una mezz’ora all’aria aperta e al sole caldo per raggiungere il fiume. Ciascuna sceglie la pietra migliore dove appoggiarsi per lavare i vestiti, deve essere abbastanza grande, liscia, in pendenza sull’acqua e piú bassa rispetto alla pietra dove si pongono in ginocchio per lavare. Poi i vestiti si stendono lungo la riva e si aspetta che si asciughino, ovviamente l’aria e il sole facilitano il tutto.
E come giocano semplicemente, il gioco preferito è il basket, ma pure si gioca a “scalone”, o si salta la corda, costruita unendo il “chiniki” di ciascuna (una specie di scialle multiuso: serve per ripararsi dal freddo, per mettere i fagioli da pulire, per mettere i vestiti o il cibo da trasportare legandolo alla schiena, o per portare i bambini).
Nella Sierra Tarahumara c’è molta povertá. Un grande problema è la mancanza di lavoro, ci si dedica prevalentemente all’agricoltura, ma la siccitá non favorisce le coltivazioni. L’alimentazione è a base di mais, con il quale si fanno “tortillas”, e fagioli. A volte c’è anche un po’ di riso, ma principalmente mais e fagioli tutti i giorni. Le bambine che stanno all’internato possono usufruire di un’alimentazione piú varia, difatti a volte c’è anche pasta, pane, patate, uova, avena, latte; ma nelle loro case solo mais e fagioli.
Una cosa molto particolare che sto vivendo in questo periodo di Quaresima sono le celebrazioni che i raramuri accompagnano ballando e suonando il tamburo. Questi balli sono una preghiera al Signore (Onorúame), un chiedere perdono e un offrirsi a Lui. Si fa il saluto alla croce, facendo il segno della croce e girando su se stessi, in tutti i 4 lati della croce. Lo stesso si fa all’altare e davanti alle immagini della Madonna (in particolare si venera la Virgen de Guadalupe). Questo a richiamare i 4 punti cardinali, quindi l’unione e l’armonia con il cosmo. I raramuri difatti si preoccupano della tutela e protezione della terra, dell’ambiente, della natura, dell’acqua, del bosco, tutto dono di Dio, da rispettare e da non sfruttare troppo. Per questo, per esempio, si coltiva solo ció che è necessario per la propria sopravvivenza e se c’è qualcosa in piú lo si condivide con la comunitá, tutto viene messo in comune.
Poi, mano a mano che si termina il saluto alla croce, ci si pone in fila, uno accanto all’altro, ognugno che termina passa davanti alla fila, stringe la mano a tutti e si pone alla fine, pronto a stringere la mano agli altri che passano. Questo è un segno di saluto, ma anche uno scambio di energia.
Ho avuto la fortuna di partecipare alla riunione annuale delle autoritá indigene della Sierra Tarahumara. Il tema di quest’anno era la violenza proveniente da fuori e da dentro le comunitá. Violenza da fuori ne arriva molta: costruzione di strade da parte del governo senza consultare le autoritá indigene locali (le strade facilitano e velocizzano il narcotraffico), disboscamento, sfruttamento di miniere lasciando sostanze tossiche e velenose nel terreno, nell’acqua, ecc.
Secondo la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni, questi hanno diritto alla propria autodeterminazione, al proprio autogoverno ed autonomia, hanno diritto a proprie istituzioni politiche, giuridiche, economiche, sociali e culturali. Godono di diritti collettivi, perché non si possono considerare solo come individui, bensí comunitá. Sebbene molti raramuri vivano isolati, forte è il senso di comunitá e soprattutto di condivisione (della terra, del lavoro, del cibo).
Diritto all’autodeterminazione significa che ogni popolo indigeno, in questo caso il popolo raramuri, deve essere considerato come un popolo originario (tale è in effetti) e come uno Stato a sè, con proprie leggi, propria giustizia, proprie tradizioni, ecc.
Nei balli che si fanno durante le celebrazioni in questo periodo di Quaresima, tutti sono “pintos”, con il volto e il corpo dipinto, quasi a richiamare l’antico popolo raramuri che era guerriero (e prima di una battaglia ci si dipingeva volto e corpo). Oggi invece il popolo raramuri è molto pacifico e spesso lascia fare e si tira indietro, si volta dall’altra parte, senza reagire per non creare problemi. Peró la non reazione porta all’invasione di chi continua a “conquistare” questa terra, non riconoscendo, non considerando, non rispettando, il diritto a determinare da sè i loro affari interni e locali.
E pensare che questa terraè ricchissima di acqua, boschi, risorse naturali (miniere), ecc, solo che si sta diffondendo una forte violenza politica, economica, ecologica proveniente da fuori, dal livello governativo ed internazionale. E la Tarahumara cheè “proprietá” dei raramuri si va impoverendo. Se le comunitá raramuri si uniscono possono essere una grande forza per difendersi da questa invasione governativa ed internazionale, per esempio constituendosi in comunitá che lavorano autonomamente per la propria autosufficienza alimentare, per la tutela dell’ambiente (acqua, boschi, animali, campi), perché i giovani si fermino nella Sierra e non emigrino (sull’esempio di quanto sta succedendo in Colombia con la costituzione di Comunitá di Pace per mantenersi autosufficienti dal punto di vista alimentare, autonome ed estranee rispetto al conflitto che coinvolge governo, narcos, paramilitari, guerriglieri che stanno cercando di espropriare i contadini delle loro terre; tra l’altro fenomeni di paramilitarismo e conseguente violenza da parte di questi si stanno verificando anche nella Sierra Tarahumara).

 

28 gennaio 2011

Il 28 gennaio, dopo una nottata trascorsa tra aeroporti e aerei, giungo, un po’ assonnata, a Chihuahua (Messico), dove mi attende Hermana Olga, la quale, attraverso un multiforme cambio di paesaggio, di colori, di clima, mi accompagna a Norogachi, paese collocato nel centro della Sierra Tarahumara. Subito mi accoglie un grande freddo, ma a riscaldare l’ambiente ci pensano l’accoglienza e l’ospitalitá delle suore che gestiscono l’internato (intitolato a Nuestra Señora de Guadalupe) e la scuola. E subito, la cosa che piú mi colpisce, è la maestositá di quest’opera, che accoglie 112 bambine e ragazze indigene, di etnia raramuri; e che negli altri internati e scuole, gestite dalle stesse suore o da altri religiosi e religiose o da laici, accoglie tanti altri bambini e bambine, ragazzi e ragazze. All’ingresso è scritto: Dios provee. E non riesco ad immaginare come quest’opera, che vive con donazioni di privati, potrebbe sussistere senza la Provvidenza di Dio.

Le ragazze iniziano ad arrivare la domenica pomeriggio, e subito riempiono la casa di colori, dovuti ai loro vestiti tradizionali, tutti fatti a mano, spesso da loro stesse anche se piccole, e quindi tutti differenti, e molto molto preziosi. La mia attivitá consiste nell’accompagnare le ragazze nelle attivitá quotidiane. Ci alziamo alle 5:30 per lavarsi, vestirsi e soprattutto pettinarsi: questo è uno dei momento piú belli! Tutte pettinano i lunghi e folti capelli scuri, li rimpieno di gel e aggiustano acconciature perfette... neanche un capello rimane fuori posto. Dopo la colazione si passa alla pulizia dei locali utilizzati. Alle 8 si va a scuola, la quale inizia alle 8:30. E che si fa in quella mezz’ora? Si sale piano piano la salita per la scuola, appostandosi al sole per riscaldarsi. Ed anche questo è un momento molto particolare: fermarsi al sole, guardarlo, lasciarsi guardare da lui ed assorbirne tutta l’energia che emana. E io mi fermo con loro, finalmente anch’io mi fermo, perché qui si impara anche a fermarsi, a fermarsi e inchinare la testa davanti alle forze e ai doni della natura.

Dopo il rientro dalla scuola, c’è il tempo per giocare, fare i compiti, lavarsi e lavare i vestiti, fare un po’ di riflessione. Ed infine coricarsi stanche della lunga giornata trascorsa sempre in movimento. Sono tantissime bambine e ragazze, ma tutto il gruppo è organizzato in equipe formate da grandi e piccole (l’etá va da 4-5 anni a 13 anni) e le grandi sono responsabili del gruppo e aiutano le piú piccole in tutto.

Questa esperienza non è peró priva di difficoltá, al momento soprattutto linguistiche, il problema non é lo spagnolo, riesco a capirlo bene e comincio a parlarlo con piú scioltezza, ma il raramuri, l’idioma delle ragazze. Le piú grandi giá sanno lo spagnolo perché lo imparano a scuola, ma le piú piccole ancora non lo sanno. A me il compito di impararlo un po’, come pure il compito di farmi accogliere. Eh sí perché questo è un altro mondo, un’altra cultura, e devo entrarvi in punta di piedi, devo conoscerla, rispettarla nelle sue peculiaritá, nei suoi modi di relazionarsi (se si nascondono il volto o non rispondono al saluto o alle domande, non è perché siano “maleducate”, ma perché la loro cultura le porta a rimanere nascoste, ad avere pudore, a parlare sottovoce, a non farsi vedere in quello che stanno facendo). La mia attivitá consiste, quindi, nell’accompagnare le bambine e le ragazze, con un obiettivo formativo ed educativo, aiutandole nella gestione della casa e di se stesse.

Un momento particolare, che mi sta aiutando a conoscerle, è la riflessione serale con le piú grandi. In questi momenti spero di riuscire a trasmettere loro l’importanza di valorizzare la propria persona, le proprie capacitá, l’opportunitá che hanno di crescere e prendere decisioni autonome.

Un’altra attivitá che inizieró a breve è la visita alle diverse Comunitá indigene che abitano nella Sierra Tarahumara, accompagnando un padre gesuita responsabile della pastorale indigena, proprio nell’ottica della promozione e della tutela dei loro diritti umani e, nello specifico, dei diritti delle popolazioni indigene.


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