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TEATRO IN CARCERE: IL MIO GRIDO

Sabato 10 dicembre presso l’Auditorium del Conservatorio F. Venezze di Rovigo alle 16:30 si svolgerà l’evento di presentazione del videoclip "Il mio grido" girato all’interno della Casa Circondariale di Rovigo, da un idea di Vito Alfarano, dell'Associazione Balletto "città di Rovigo" compagnia Fabula Saltica, è stato girato nel carcere rodigino e nasce a seguito di un laboratorio di danza, musica e teatro dal titolo "Oltre i confini 3" che per il terzo anno consecutivo si è svolto insieme ai detenuti.
 

 

Qual è la genesi di un grido? C’è un grido latente nell’uomo? Il grido è un suono che si insinua tra le viscere di chi vive una reclusione, uno squarcio che sta lì, nascosto, profondo, enorme, da sempre. Un grido pronto ad esplodere solo quando la solitudine e l’impossibilità di comunicare si tramutano in disagio dell’anima. Troppo per un solo uomo. Troppo per qualsiasi uomo. Il mio grido è la lenta nascita di una esplosione che tra corpo e suono, si fa arte, un suono che non nasce dietro le sbarre, ma si sedimenta e cresce nell’arco di tutta una vita.

Gli attori de "Il mio grido" sono i detenuti, e le musiche, originali, sono state realizzate attraverso il suono delle loro voci.

Ancor prima di mettere piede in carcere si è deciso di imboccare la strada dell’immagine sola, eliminando la parola o il dialogo, per discostarsi dai lavori passati, per sperimentare una strada diversa, ma soprattutto perché spesso, (e l’artista questo lo sa bene e ci lavora per anni) il corpo, l’espressione e il gesto sono molto più eloquenti di una frase. In una frase parlata, infatti, sono sempre contenuti: condizionamenti, paure, concetti equivocabili e spesso molto retorici. Difendersi, usando il corpo, da una macchina da presa o dai maestri che interagiscono con il soggetto, diventa molto più difficile. Si ottiene così spontaneità, e verità. L’individuo, stimolato nella giusta direzione, è costretto ad essere se stesso, nient’altro che se stesso, quella semplice e complessa meraviglia che si chiama UOMO.

Il corpo nudo esprime la sua potenza, la sua morbidezza, ma anche le ferite o la sua fragilità, la sua vivacità.

Tenendo presente che il fruitore finale del lavoro è lo spettatore, avviene così: Lo spettatore, davanti alle immagini di un corpo nudo, non può che vedere l’uomo e il suo corpo, bello, brutto, rugoso, ferito, vivace, giovane, vecchio, potente, gracile che sia. Sarà sempre l’uomo ad essere guardato, non il detenuto, questo è lo scopo comunicativo principale. Lo sfondo bianco elimina qualsiasi possibilità di collocamento nello spazio. Disorientamento dello spettatore è uguale ad assenza assoluta di pregiudizio.

Non sapendo nulla dell’uomo che sta sullo schermo, lo spettatore gli è già vicino emotivamente, quel corpo infatti sembra rappresentare il suo omologo dall’altra parte dello specchio, nel corpo del detenuto l’osservatore vedrà se stesso e nient’altro.

Regia di Vito Alfarano, montaggio audio e video GoMotion Alessandro Gasperotto, musiche Simone Pizzardo e Camilla Ferrari, fotografia Ludovico Guglielmo e Cesare Grandi. L’opera è stata prodotta da Associazione Balletto "città di Rovigo", finanziata dal Ministero di Grazia e giustizia, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e il Provveditorato dell'amministrazione penitenziaria del Triveneto, in collaborazione con il P.R.A.P di Padova e la direzione del carcere di Rovigo.

 

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